Quanti ne hai contati?”
“Ventisette, signora”
“Mettili tutti in fila e ricontali”
La signora i piatti di porcellana antica , un ricordo di famiglia, li voleva mettere via. Puliti. Senza un filo di polvere. Ogni giorno spolveravo, detergevo, disinfettavo con i guanti che poi rivoltati per lasciare lo sporco all’interno, gettavo via.
“E le posate? Quante sono le posate?”
E contai le posate d’argento e i bicchieri di cristallo e i vassoi. E misi tutto via, tutto pulito, così, sentite come profuma questo lenzuolo?
Sono al suo servizio da venti anni e, come tutte le estati, saremmo andate in campagna. Avrei portato con me anche i miei sogni, non li avrebbe contati.
“Puoi portarli tutti, se vuoi. Basta che non facciano cattivo odore”
La signora, poverina, aveva, con rispetto parlando, un olfatto che si nutriva d’isteria.
Io amavo i miei sogni, anche quelli meno puliti, con rispetto parlando, soprattutto quelli, lo confesso. La signora mi aveva regalato un raccoglitore per ordinarli: genere, tema, ordine alfabetico, come volevo. Per un’intera serata inventammo insieme possibili sistemi per catalogare i miei sogni. Ne trovammo quattordici. Lei era gentile, non mi sgridava, poverina, però presto le venne una tosse allergica, dovevate sentire che tosse, povera la mia signora, tutta colpa dei miei sogni.
Che pazienza ha avuto con me la mia signora! Sempre gentile, sempre pronta a capirmi. Eravamo, con rispetto parlando, culo e camicia. La sera prima di partire era nervosa e quando aveva, i cinque minuti era difficile trattare con lei. Per carità, aveva ragione! In quei casi bisognava avere tatto, molto tatto. Ma il mio tatto non poteva competere con il suo olfatto.
La signora si infuriava, i muscoli del collo e del viso tesi tesi, si trasfigurava, diceva parole dure e cattive, i suoi occhi diventavano quelli di un’altra. Però poi le passava tutto, e dimenticava. Era gentile e delicata, la mia signora, fingeva di dimenticare l’errore. Qualche volta ricominciava a parlarmi come se niente fosse. Un giorno, dopo una sfuriata, mi ha permesso di accompagnarla a fare la spesa e portarle tutti i pacchi.
Quella sera, dicevo, non parlava e allora anche io tacevo perchè, sapete, come avrei potuto rompere proprio io quel silenzio così caro, che pare malumore ma è solo grande sensibilità. Si accorgeva perfino di me, a volte. Che cara, la mia signora! E io le rimanevo accanto e cercavo di soddisfare i suoi desideri. Pulii tutto, quella sera, avrei voluto pulire anche l’aria dopo ogni respiro. Ad un tratto però, che donna di cuore!, mi rivolse la parola. Lo fece con garbo, leggera, quasi avesse paura di essere indelicata con me. Mi guardò e mi disse “Basta!”. E io credetti che volesse dirmi che per ora andava bene così, andassi pure a dormire, era quasi mezzanotte.
Invece no. Con quel basta lei intendeva altro, ma io non ci volli credere, e signori, lei volle continuare a spiegarmelo questo basta, e disse che basta, lei era stanca di me e dei miei sogni appiccicosi. Con rispetto parlando, aveva la luna di traverso, la mia signora, e diceva che non li sapevo pulire bene i miei sogni, rimanevano sporchi e lei era allergica.
“Porterò via solo i puliti”, implorai tra le lacrime ma lei no, lei urlava che non poteva rischiare.
Poi mi disse di andare a dormire, ne avremmo riparlato il mattino dopo. Potete capire, io non andai a dormire serena e tranquilla. Ero troppo agitata. Che ne sarebbe stato di me l’indomani?
Entrai nella mia stanza e, con rispetto parlando, mi spogliai. Guardai il letto, le tendine azzurre, l’armadio laccato di bianco. Forse non li avrei più rivisti. Avevo una grande angoscia, qui, vedete, proprio qui, sul petto. Non ce la feci e dovetti correre dalla mia signora.
Era in camera sua e leggeva un giornale, distesa sul letto. I capelli raccolti in una cuffia per non riempirli della polvere della notte, i tappi nelle orecchie per non sentire il rumore e una pinza sul naso per non farsi riempire dai cattivi odori. La guardai. Era così bella! Un angelo, pareva, e io le volevo così bene. Da sola non ce l’avrebbe fatta in questo mondo cattivo.
Mi inginocchiai davanti alla sua porta e pregai Dio di farla decidere per il bene. Poi me ne andai a dormire.
E sognai. Avevo bisogno di essere felice, così sognai senza stare troppo attenta alla pulizia. Feci, con rispetto parlando, sogni un po’ sporchi, persi il controllo e lasciai che avvenisse di tutto, ma proprio di tutto. E non badai all’odore che, uscendo dal mio sogno, inondava la casa.
L’ho trovata così, riversa sul suo letto, come la vedete voi, signori. No, non è morta, è la sporcizia uscita dal mio sogno che l’ha ridotta così. Una morte solo apparente.
Ma ora, se permettete, mi stendo vicino a lei e mi addormento. Sognerò qualcosa di bello, di dolce, di molto pulito. E allora lei respirerà l’aria tersa di questo mio sogno e si riprenderà. E si alzerà dal letto, la mia signora, e mi sorriderà e mi dirà che mi vuole ancora con sé. Allora io le toglierò quel fazzoletto che le ho messo intorno al naso e l’altro, dentro la bocca, perché non le entrasse la sporcizia del mio sogno. E lei cambierà espressione, vedrete signori, e gli occhi sbarrati torneranno a sorridere belli come il sole, belli come la mia bellissima signora.