Ricordate Nuovo Cinema Paradiso che nel ’90 valse l’oscar a Giuseppe Tornatore come miglior film straniero? Ecco, se andate a vedere la nuova opera del regista di Bagheria, La migliore offerta (2013), sarete stupiti dalla differenza di stile. Per prima cosa manca la sicilianità che ha permeato quasi tutti i suoi i film.
La migliore offerta ha respiro internazionale, è girato nel centro Europa (Vienna, Praga) e tutti gli interpreti sono anglo-americani. Virgil, interpretato da Geoffrey Rush, l’indimenticabile logopedista de Il discorso del re, è un attempato battitore d’aste, ricchissimo e richiestissimo. Nel guardaroba ha collezioni di abiti e guanti – odia sfiorare le mani altrui – e in un caveau segreto centinaia di quadri d’autore, tutti a soggetto femminile, ottenuti grazie ai traffici di un suo complice durante le battute d’asta.
Nella sua vita asettica e scandita solo da impegni di lavoro, entra Claire, donna misteriosa che lo contatta per valutare le centinaia di arredi e oggetti d’arte della casa ereditata dai genitori. Claire, all’inizio, è solo una voce al telefono. La donna, che si presume molto giovane, fa saltare tutti gli appuntamenti con Virgil, inventa scuse fantasiose per non incontrarlo di persona e, quasi fino alla fine, rimane appunto solo una voce, che filtra dal microfono di un cellulare o dalla soglia della camera in cui è rinchiusa. Virgil, follemente attratto dal fantasma della donna, trova, durante l’inventario nella grande casa in cui Claire vive nascosta e reclusa, il frammento di un antico ingranaggio. Anche il film di Tornatore – di cui non si può più raccontare – è una sorta di ingranaggio, i cui pezzi messi insieme e ben oleati sembrano incastrarsi per creare una storia d’amore perfetta. Il cuore di Virgil, sclerotizzato e privo di affetti, riprende a battere d’amore per Claire, che infine si rivela ai suoi occhi: giovane donna bellissima, afflitta da agorafobia, il terrore degli spazi aperti. Ma qualcosa alla fine si rompe nel meccanismo ben concertato. Il puzzle va in pezzi e il film soffre nell’epilogo di un eccesso di meccanicismo. Troppi dettagli soffocano la regia sontuosa, quasi da thriller, e Tornatore sembra un po’ in affanno pasticciando il finale e strapazzando il suo protagonista.