Quando hai 3 anni non puoi, in seguito, dire di ricordare un evento che ti ha coinvolta, ma qualcosa, flash in bianco e nero, emozioni che riemergono. Gennaio 1956, tutta l’Italia, compreso il centro-sud, venne sommersa da un’intensa nevicata. Bari si svegliò sotto un incredibile manto bianco. Del freddo in casa – niente termosifoni allora nel grande appartamento al terzo piano di un palazzo d’epoca dove ero nata e vivevo con i miei genitori – del freddo, appunto, non m’importava. Stavo incollata alla finestra a guardare quella robina bianca e spessa che cadeva dal cielo e che copriva tutto, la strada sottostante, le rare macchine parcheggiate, persino le inferriate del convento di clausura che avevamo di fronte. Forse papà non andò in banca, al lavoro di solito ci arrivava a piedi – di lui non ho memoria, mentre ricordo mia mamma che indossò per uscire i pantaloni di lana di lui. Erano alti uguali, anzi lei era più alta di lui, ma metteva sempre i tacchi bassi per non sovrastarlo. Insomma, indossò il paio di pantaloni di papà, gli stivali, la pelliccia di leopardo che aveva portato dal Congo e che a Bari aveva poche occasioni di sfoggiare, e scese in strada a prendere pane e latte nel negozio di alimentari. Me la ricordo mia mamma che camminava tra i cumuli di neve, era così bella, con i capelli chiari che le sfuggivano da sotto il berretto. E io, pur non potendo aprire la finestra, la chiamavo e la salutavo, emozionata e fiera di lei. Mia Martini cantò, con la sua splendida voce, quella storica nevicata e la dedicò a sua madre:
Io bambina sognavo
Un vestito da sera con tremila sottane
Tu la donna che già lo portava
C’era sempre un gran sole
E la notte era bella com’eri tu
Anch’io voglio dedicare, oggi, queste poche righe alla mia di mamma, classe 1929. Lei non ricorda quasi più nulla, chiusa nel suo bozzolo di svanita vecchiezza. Lo faccio io per lei. Sono una donna matura tornata per un po’ bambina a rievocare, in questi giorni bianchi di gelo, La nevicata del ‘56.