Cucinare, ormai, è una moda.
Su web, tv, riviste, giornali è una fiumana di chef, cuochi, cuochesse, food blogger, mangiatori e cucinatori di ogni forma e dimensione. Questo ha fatto nascere una moda nella moda: prendere piatti di tradizione centenaria e rivisitarli. Sono nati così finti ragù, tiramisù alle fragole o all’ananas, lasagna senza lasagne, carbonare ibride alle capesante o al piede di tavolo e germogli di bambù, parmigiane di suola grigliata con scaglie di tomaia…
Ultimo baluardo sembrava la pastiera. Una pastiera è una pastiera, è una pastiera, disse Gertrude Stein. Più o meno.
Invece no. In questi giorni di preparativi e gare di Chi detiene lo scettro pastierico cosa mi tocca vedere? Pastiera al cioccolato.
Ecco, no. No e no e poi no per no al quadrato.
Amo il cioccolato, è la mia coperta di Linus alimentare. Ma c’è un limite anche alle coperte. Non ho mica nulla contro la creatività, anzi, piuttosto il contrario.
Volete essere i Robespierre del tegame? Bene, bravi, mille applausi. Ma durante l’emorragia creativa restate sul pezzo, inventatevi anche un nome diverso.
Chiamatela Sacrilegio al cioccolato, o Torta mancanza di fantasia, oppure Incursione di cioccolato in crema sacra.
Lasciate alla Nostra il colore giallo oro del ripieno di uova, grano, ricotta, zucchero e fiori d’arancio. Non nominate il nome della pastiera invano.