E se fossi diventato Presidente? A volte ci ho pensato.
Ero il più piccolo tra i miei fratelli, una testa calda, amavo le donne e le macchine veloci. Mio padre mi considerava la pecora nera della famiglia. Quando fui espulso da Harvard mi tolse il saluto.
Se fossi stato un figlio migliore? Non volevo essere “il fratello di”. Volevo solo essere me stesso, e questo, forse, è stato il mio problema.
Se dopo quella maledetta festa fossi andato a casa, se Mary Jo non fosse annegata sul sedile della Oldsmobile, oggi probabilmente mi chiamerebbero Presidente.
Se mi fossi schiantato nel ’64 in quell’incidente aereo, se mi avessero assassinato come i miei fratelli, avrei avuto una morte da eroe come tanti della mia famiglia.
Allora scrivo per testimoniare il mio essere stato tanto, ma mai davvero tutto. Un incompiuto.
In pochi anni diventai il patriarca della mia famiglia. Prima l’elezione al Senato, poi l’assassinio di mio fratello il Presidente, poi quello di mio fratello, il Prescelto.
Se avessi detto “No, voglio fare l’avvocato, vivere in pace”, probabilmente non mi avrebbero creduto.
Perché uno che porta il mio cognome non può tirarsi indietro.
Eppure mi ricordo, volevo piangere. Quando è morto mio fratello, il Presidente, volevo davvero piangere. Perché la speranza di tutta l’America era anche la mia.
E se ce l’avessi fatta? Fu verso la fine degli anni ’70, quando tentai la corsa a Presidente. Mi candidai per la memoria della mia famiglia, per le battaglie che ho sempre combattuto. Invece persi. Perché ero pur sempre il peggiore della famiglia. La gente non mi aveva perdonato.
Persi e allora cercai di essere il meglio di ciò che ero.
La battaglia per una sanità più giusta, la sfida per l’aumento del salario minimo, le leggi contro la povertà e la segregazione.
Se adesso non morissi, se d’improvviso diventassi tutto quello che non sono mai stato, se riuscissi ad essere il migliore, no davvero, non sarei contento.
Sono quello che sono e ho pagato ciò che dovevo.
Lascio un’America in buone mani, il Presidente per certi versi mi somiglia, ma non lo prenda come un insulto.
Il lavoro va avanti, la causa perdura, la speranza vive ancora e il sogno non morirà mai. Lascio il mio posto nella storia, se la Storia lo accetterà.
La Storia non si fa con i se.
O forse sì.
Edward Moore “Ted” Kennedy 25 Agosto 2009