Strana prigione. I corridoi sono fiancheggiati da finestre vetrate e illuminati da una luce azzurrina. Non ci sono sbarre. Non si sente sferragliare di catene né cigolio di chiavistelli. Un frastuono indistinto, passando da una finestra all’altra, si precisa ora nel raffinato adagio di Mozart, ora nello zumpappà disco-tecno, ora nella stanca melodia del tempo che fu.
Sui vetri foto di famiglia, appunti di viaggio, pagine strappate, autoscatti e confezioni di cibarie. I pezzi tranciati e incollati uno sull’altro, giorno dopo giorno, fino a che la luce non filtra più.
Dalle celle provengono urla che gelano il sangue e sussurri che riscaldano il cuore. Un prigioniero ripete ossessivo qualcosa, nella speranza che qualcuno lo ascolti. Nella cella a fianco, un altro prigioniero per acquietarlo urla: «Mi piace!», sicuro che faranno con lui lo stesso, prima o poi.
Al mattino nel cortile che nessuno frequenta, l’altoparlante trasmette l’elenco di coloro che compiono gli anni. ‘«Auguri!», rispondono alcuni, accompagnando la voce con lo schiocco di un bacio, una risata, o una scrollata di spalle che nessuno può vedere.
Nel parlatorio non ci sono visite. I prigionieri si dispongono sui lati opposti della cortina di vetro e parlano tutti assieme. A notte fonda si addormentano. Non tutti. Molti sognano.
Non è raro, il giorno dopo, vedere il proprio sogno tra gli annunci sulla bacheca. Sogno in vendita.