I lavori del XVIII° Congresso Oncologico Mondiale erano entrati nel vivo.
Nell’immensa sala convegni si percepiva quasi acusticamente il fervore di un’ attività intellettuale benefica, sana, al servizio dell’umanità quella vera, quella che soffre per un male diabolico e che guarda agli illustri convenuti come all’unica fonte di speranza.
Tra poco sarebbe toccato al professor Cesare Bergamini-Lotti.
Il suo era tra gli interventi più attesi, perché da tempo si vociferava, negli ambienti accademici, che il professore stesse lavorando in gran segreto a una cura rivoluzionaria. Una cura, si auspicava in quel consesso di luminari, finalmente in grado di funzionare, spazzando via tutte le illusioni suscitate da rimedi miracolosi rivelatisi poi poco più che palliativi intrisi di superstizione.
Forse erano solo rumors, le solite notizie che partono da una battuta lanciata a caso e poi amplificate dal tam tam dei media e dal desiderio autentico di esorcizzare una condanna incombente da secoli e secoli.
D’altra parte il professor Bergamini-Lotti non aveva confermato né smentito. Ciò, conoscendo il proverbiale rigore dell’uomo, appariva a molti come un indizio positivo: si era alle soglie di una svolta epocale?
Ma il professore era irrequieto. Rigirava tra le mani un corposo plico di carte perfettamente ordinate e, seduto in prima fila nell’attesa di essere chiamato al microfono, tradiva un’inquietudine evidente. E tutti si interrogavano sulle cause di tale nervosismo, così inconsueto per uno scienziato celebre per la padronanza dei suoi nervi.
Se avessero potuto visualizzare i suoi pensieri!
Il professore aveva in mente un cucchiaino. Facente parte di un set di cucchiaini dai manici multicolori: rosso, blu, verde, giallo, celeste. E arancione. Custoditi in uno dei cassetti della modernissima cucina dell’attico affacciato sui tetti dei Parioli, il quartiere top della Capitale.
Era venerdì 29 settembre 2018, giornata conclusiva del Congresso Oncologico Mondiale, arrivato alle ultime, decisive battute.
Ma era anche la vigilia del 135° derby calcistico di Roma.
Tutti sapevano dell’innocua ma solida passione del professor Bergamini-Lotti per il calcio, in particolare per una delle due squadre di Roma che si sarebbero affrontate la sera successiva in una battaglia senza quartiere. Ciò che nessuno sapeva, è che il professore era terribilmente, ossessivamente scaramantico. E invariabilmente, il giorno prima di un match importante, officiava un peculiare rito solitario.
Col cuore che batteva forte il professore, il nemico giurato di tutte le superstizioni, infilava una mano nel cassetto dei cucchiaini e ne estraeva, distogliendo rigorosamente lo sguardo, uno e uno solo. Il segnale della volontà capricciosa degli dèi.
Se il prescelto era, sorte infausta, quello col manico arancione, non c’era niente da fare: la sua squadra del cuore avrebbe perso rovinosamente.
Quel giorno, di buon mattino, era avvenuta la rituale estrazione. Colto da un oscuro presagio, il professore non aveva osato guardare il colore del cucchiaino prelevato, ma lo aveva subito lasciato ricadere nel mucchio. La sua lealtà era garantita: non aveva certo sbirciato ciò che non doveva sbirciare. L’operazione si era ripetuta tre, quattro, dieci volte, finchè il citofono aveva suonato, annunciando l’auto che avrebbe condotto il professore alla sala congressi. Fu costretto quindi a rompere gli indugi e a scegliere quel maledetto cucchiaino, che si ficcò in tasca con la destrezza e la rapidità di un ladro, senza guardare.
In macchina, Bergamini-Lotti non scambiò una parola col suo autista. I suoi occhi angosciati, immobili, quasi catatonici, fissavano l’oggetto che teneva in mano. Un oggetto di metallo contorto, piegato, reso irriconoscibile da una forza violenta, rabbiosa: solo il manico di plastica si era salvato e brillava intatto nel suo bel colore: arancione.
Scienza Squadra del cuore Superstizione