Eugenia, in seguito alla malattia dell’anziano padre, torna dopo tanto tempo nella casa di famiglia. Trasferitasi anni prima in Francia, ritrova nell’ampia fazenda argentina, oltre agli abbracci della madre e della sorella minore Mia, i ritmi lenti e luminosi della sua terra, le passeggiate a cavallo, i sapori e i profumi dell’orto. “La quietud” si chiama la grande villa dai mattoni color corallo, ma di quieto e tranquillo c’è ben poco tra le sue mura. Il ritorno della primogenita e l’agonia del padre scatenano una serie di effetti a catena e risvegliano conflitti che si pensavano sopiti.
Il regista Pablo Trapero, esponente del Nuovo Cinema argentino, già autore di film di pregio, imbastisce una storia fosca, una soap raffinata, in cui la violenza dei sentimenti e la cupezza di alcuni segreti ingombranti esplodono come proiettili.
Al centro della vicenda il rapporto in apparenza tenero e strettissimo tra le due sorelle, che ritrovano e rinnovano tra le mura paterne, le complicità e i giochi dell’infanzia. Attraversato da una sensualità prorompente, il film di Trapero cambia più volte registro: quasi un thriller, poi un melodramma, poi una farsa. I protagonisti, anzi le protagoniste, vista l’inconsistenza delle figure maschili – a parte quella del padre confinato nel suo letto – interpretano al meglio i ruoli e i repentini cambi di ruolo dei loro personaggi. La madre Esmeralda (Graciela Borges), una leonessa indomita dalla bellezza appassita, ha ancora in mano – o forse le ha sempre avute – le chiavi di comando della proprietà, dei beni e forse dei destini dei suoi famigliari; Eugenia, la preferita, ha la bellezza nervosa di Bérénice Béjo, Mia, ha il volto sensibile di Martina Gusman (moglie e musa del regista). Splendida la fotografia che si sofferma sui visi e sui corpi snelli delle due sorelle e, all’esterno, sulle distese di praterie, boschi e giardini fioriti; la musica, per lo più sudamericana, stempera con la sua allegria l’atmosfera a volte soffocante del film. Che oltre a sviscerare segreti e bugie all’interno di una famiglia, mette a nudo le contraddizioni di un Paese che non ha mai fatto i conti con il suo recente passato.
Il regista Pablo Trapero, esponente del Nuovo Cinema argentino, già autore di film di pregio, imbastisce una storia fosca, una soap raffinata, in cui la violenza dei sentimenti e la cupezza di alcuni segreti ingombranti esplodono come proiettili.
Al centro della vicenda il rapporto in apparenza tenero e strettissimo tra le due sorelle, che ritrovano e rinnovano tra le mura paterne, le complicità e i giochi dell’infanzia. Attraversato da una sensualità prorompente, il film di Trapero cambia più volte registro: quasi un thriller, poi un melodramma, poi una farsa. I protagonisti, anzi le protagoniste, vista l’inconsistenza delle figure maschili – a parte quella del padre confinato nel suo letto – interpretano al meglio i ruoli e i repentini cambi di ruolo dei loro personaggi. La madre Esmeralda (Graciela Borges), una leonessa indomita dalla bellezza appassita, ha ancora in mano – o forse le ha sempre avute – le chiavi di comando della proprietà, dei beni e forse dei destini dei suoi famigliari; Eugenia, la preferita, ha la bellezza nervosa di Bérénice Béjo, Mia, ha il volto sensibile di Martina Gusman (moglie e musa del regista). Splendida la fotografia che si sofferma sui visi e sui corpi snelli delle due sorelle e, all’esterno, sulle distese di praterie, boschi e giardini fioriti; la musica, per lo più sudamericana, stempera con la sua allegria l’atmosfera a volte soffocante del film. Che oltre a sviscerare segreti e bugie all’interno di una famiglia, mette a nudo le contraddizioni di un Paese che non ha mai fatto i conti con il suo recente passato.
“Il segreto di una famiglia” (La quietude – Argentina/Francia 2018) di Pablo Trapero