Lucia Mondella: centoventi e più anni prima di “Lolita” di Nabokov e più di centocinquanta da “Leggere Lolita a Teheran” di Nafisi c’e’ un’altra creatura resiliente, una donna nata dall’invenzione del Manzoni: Lucia Mondella, la filatrice di Lecco, la promessa sposa di Renzo Tramaglino, la figlia di Agnese e diletta seguace del Padre Cristoforo, l’omicida pentito e convertito a vita monastica e al bene degli altri, dei derelitti, dei perseguitati, dei soli al mondo.
“E, con voce rotta dal pianto, raccontò come, pochi giorni prima, mentre tornava dalla filanda, ed era rimasta indietro dalle sue compagne, le era passato innanzi Don Rodrigo, in compagnia d’un altro signore; che il primo aveva cercato di trattenerla con chiacchiere, com’ella diceva, non punto belle; ma essa senza dargli retta, aveva affrettato il passo, e raggiunte le compagne; e intanto aveva sentito quell’altro signore rider forte, e Don Rodrigo dire: “scommettiamo”.
Sembra il manifesto programmatico della persecuzione che la mente degli aguzzini è pronta ad imporre, e gli aguzzini, i persecutori sono qui i “Signori”, i padroni spagnoli di terre italiche e sfruttatori di genti, i luogotenenti del potere di un regno su un altro, di un conquistatore su genti costrette all’ossequio per sopravvivere. Come in “Lolita”, un uomo, per varie ragioni più potente della vittima prescelta, decide della sorte di lei, non considerandone minimamente la storia, la vita, i pensieri, gli affetti.
Lucia, ragazza del popolo, lavoratrice, innamorata del futuro da sposa, saldamente legata agli affetti familiari, alla dimora, al paese, alle proprie idee e ad un promesso, rispettoso sposo. Una vita come tante in una provincia povera ma industriosa. Una ragazza timida, dicono, ma decisa. Ecco, decisa, determinata. Una ragazza che, insidiata, fa finta di non aver sentito, allunga il passo e tace. Tiene dentro le paure e affretta i tempi per sposarsi. Reagisce con forza ai tentativi di corruzione ben sapendo di essere entrata nel mirino di un aguzzino. Non si confida, Lucia, neanche con la madre, per non metterla in ansia e perché sa che le reazioni materne potrebbero causare maggiore danno. Consapevole e saggia, Lucia coltiva il suo disegno di liberazione dalle insidie con determinazione. La “Lolita” scelta da un gradasso che scommette sulla vita di una giovane inerme si mostra immediatamente consapevole del pericolo e non essendo una dodicenne sprovveduta e curiosa nell’America della perdizione e dell’irresponsabilità, come la povera Lolita di Nabokov, decide sin da subito di rifiutare l’invito anche in parte lusinghiero e di ignorarlo con forza, pronta dunque ad affrontare la lotta da sola. Inizia così il cammino di fuggitiva resiliente, personaggio coraggioso che troppo spesso non è stato compreso dalla critica vulgata.
Lucia, timida, certo, per educazione e tradizione; religiosa, certo, in senso tutto cristiano. Vittima, no.
“Renzo, -disse Lucia- con un’aria di speranza e di risoluzione più tranquilla: voi avete un mestiere, e io so lavorare: andiamo tanto lontano, che colui non senta più parlar di noi”.
Ha, Lucia, già preso la sua risoluzione, forte, decisa e lungimirante. Ma Renzo non ha le qualità di Lucia, è meno astuto e suo malgrado più ingenuo e vuole portarla via da sposa. Lucia, invece, ha annusato più degli altri il pericolo e non ha esitato a parlare di decisioni. Questa è Lucia, per nulla sottomessa se non ai propri valori, intelligente e destra nel proporre una immediata fuga. Le cose non andranno così e inizierà la persecuzione. La critica non ha prestato attenzione a questo momento cruciale in cui la protagonista propone con determinazione l’unica svolta. Da attuare comunque con sacrifici.
“Lucia disse che bisognava veder d’aiutarsi in tutte le maniere…”.
Quale vittima? Quale neutra fanciulla intimidita? Manzoni ce la mostra coraggiosa!
“..e mettendo il dito alla bocca, diede alla madre un’occhiata che chiedeva il segreto, con tenerezza, con supplicazione,e anche con una certa autorità”.
Manzoni insiste sulla caparbietà di Lucia, non sulla tanto affermata sottomissione! Lucia possiede una sua autorità, riconosciuta in famiglia, dal fidanzato e dal Padre Cristoforo, è dunque un personaggio attivo e resiliente. Mi stupisce come invece il suo profilo psicologico e culturale sia stato letto e definito come quello di una donna opaca e remissiva , non solo timida. La timidità, in senso leopardiano, di Lucia è certamente un dato caratteriale ma anche una scelta comportamentale.
L’essere umile non comporta necessariamente il divenire perdente, mi sembra che questa connotazione di umile come soggetto non reagente non sia adatta a personaggi come Lucia, che invece è a suo modo una combattente.
E quando le propongono il matrimonio di nascosto lei non ha dubbi a manifestare il suo disaccordo:
“Se è cosa che non istà bene, disse Lucia, non bisogna farla”.
“Son imbrogli -disse Lucia- non son cose lisce”.
La fermezza di Lucia viene boicottata dalla mentalità comune ed ella deve cedere ma si intuisce che Lucia è altro, silente, morigerata, religiosa in modo intimo e certo sicura di sé. L’autorità morale di Lucia viene perseguitata non solo dal perverso giocatore di scommesse, ma anche dal banale modo di arrangiarsi dei suoi simili. Si arrabbia lei anche con Renzo. Nella notte dei sotterfugi e degli imbrogli quando tutti cercano per vie traverse e improvvisate di arrivare al proprio scopo, Lucia “viene trascinata” a compiere un atto non voluto e infatti talmente è contraria da facilitare quasi la brutalità con cui Don Abbondio la aggredisce. Le tira infatti in faccia un tappeto da tavolo e per non farla parlare quasi la soffoca. E lei infatti non parla divenendo quasi una “statua di creta”.
La fuga, il lago di notte, le cime ineguali. L’addio più duro per chi mai avrebbe immaginato di essere strappato alla propria dimora, là tra il fico e la strada, la casa materna e la nuova, emozionante.
Fugge Lucia dal terrore, andando incontro ad un domani sconosciuto, terrifico, straniero. Ma lei ,su strade non sue, rimane fermamente se stessa.
Giovane donna nel mirino di appetiti sessuali di un piccolo dittatore che la incalza pur di poterla avere per capriccio, per scommessa, per quel vigliacco senso della forza virile ed un uso della prepotenza che non riconosce la vita degli altri, la loro storia, la loro mente. E quindi anche qui come in Lolita il sopraffattore espande il suo io malato come tutti i tiranni nelle coercizioni dittatoriali.
E Manzoni?
Lui che lascia scorrere parole di comprensione per i più traviati malfattori come Rodrigo, Gertrude, l’Innominato, o elogi per l’assassino convertito, o di ironica simpatia per i furbetti, gli stolti , i creduloni, i vigliacchi; davanti alla sua Lucia non profferisce giudizi, sembra solo seguirne l’agire, l’etica, la volontà. Non una leggera ninfa, farfalla perseguitata e fragile, ma una intensa Madonna. Lucia non cede davanti a nessuno. Gestisce il proprio interlocutore o vessatore o rapitore con la stessa autentica superiorità. Non teme la spregiudicata, fraudolenta Gertrude, affronta la possibile violenza dell’Innominato senza mai perdere il controllo.
Catturare Lucia si può, ma farle dismettere il suo io battagliero no. Provata, stremata, digiuna, sola, affronta un efferato manigoldo con la sua semplice dignità e la sua onesta coscienza. Lei sa che può morire in un attimo, gettata in un mondo sconosciuto e violento ma subito avvertito anche come debole costruzione di esseri fragili che si tradiscono facilmente attraverso palesi fessure di debolezza. E così si erge, immensa, dinnanzi alla forza del male penetrando in quelle crepe.
Ancora una volta è l’atto più alto della poesia del romanzo a restituirci l’epifania dello stesso. Lucia è il personaggio più convincente per rappresentare l’intenzione del Manzoni, cioè scrivere un’opera dove l’etica cristiana nel suo senso più autentico la facesse da protagonista. Penso che la scelta del secolo della Controriforma incarni il suo desiderio più grande e cioè incentrare il romanzo sulla Fede. E il ‘600, secolo corrottissimo poteva incarnare meglio questo senso trascinante e quasi ossessionante della religione. Infatti nel gran mare del delitto, dell’ipocrisia, della tirannia, della rappresentazione del male, sempre però un po’ distaccata attraverso il filtro dell’ironia, emerge, epifanica, la luce di Lucia, appunto. Tutti i personaggi, dai corrotti per viltà e opportunismo, come Don Abbondio, alla sventurata nobile Gertrude, vittima ma anche autrice di efferati disegni, al temperato ma istituzionale Cardinale Borromeo e al convertito, impulsivo fino al delitto, frà Cristoforo, non ci offrono una radicale rappresentazione dello spirito religioso quale il Manzoni l’intendeva. Solo Lucia possiede e manifesta, incorruttibile ed eroica la Fede, l’epifania letteraria della Fede cristiana viene affidata ad una creatura perseguitata, come Lolita, come ogni popolo oppresso come la Teheran amata da Nafisi. Anche qui l’arte, attingendo dalla cronaca, dalle esistenze, trae spunti, li condensa e li rifonda in messaggi etici, rivoluzionari, ma soprattutto poetici.