La Scentarella

Bastardo d’un luglio romano, appiccicoso e cattivo.
Dovete sapere che la tintoria di Piazza Mancini, quartiere Flaminio, non è un negozio come tutti gli altri. No, no. La tintoria della sora Mariella è uno scrigno di pietre preziose, un sacrario del tempo, un archivio della memoria romana degno del Cimitero dei libri dimenticati immaginato da Ruiz Zafòn nella sua Barcellona.
Mariella e Luciano stanno lì, casa e bottega, da almeno cinquant’anni. Se uno ha una mezz’oretta da perdere, va a trovarli e la mezzora diventa inevitabilmente un’ora, magari due. La scena è questa: Mariella alla sua postazione, vale a dire un’asse da stiro, vetusta ma non doma; Luciano seduto su una sedia di plastica rossa, lì accanto. Difficilmente il negozio, una decina di metri quadri mai toccati da smania innovativa, è vuoto. Perché il quartiere lo sa, che lì si puliscono pantaloni, vestiti e camicie ma soprattutto si fa Accademia. Si tramandano la lingua e la tradizione romanesca, si parla della Roma che gioca a calcio e di Roma com’era una volta, argomenti che richiedono molto più rispetto e attenzione di quanto comunemente, oggi, si creda.
Intanto, sul marciapiede, passa l’umanità intera, inquadrata per un secondo nella vetrata della bottega. Quasi tutti salutano, dicono una battuta, come in un film degli anni cinquanta miracolosamente preservato dal tempo e replicato ogni giorno.
Mariella è di via della Penna, tra Piazza del Popolo e Fiume. Ogni maledetta volta mi dimentico come la chiamavano, quei pischelli di una volta, la piccola discesa di via Maria Adelaide, buttandosi giù coi carrettini fatti chissà come, per divertirsi.
E ogni volta Mariella, facendo la faccia dell’esasperazione bonaria, me lo ripete: “Aho. Se chiamava la Scentarella. Questa è l’ultima, però. Va bene, architetto?” Non vi dico la quantità di sottintesi, di allusioni ironiche che conteneva quel povero titolo, così squadernato.
Ieri, come preso da un pensiero sghembo, affilato, sono passato in tintoria. Sapevo che Mariella non era stata bene, ma a ottant’anni capita. Però.
Luciano sta come al solito parlando con delle persone, una signora, un anziano. Qualcosa non va, lo si capisce dal clima, dalle frasi fatte, dal suo sguardo allucinato e incredulo.
Io faccio la mia solita parte. “Beh, allora? Come sta la signora? “
“Eccolo, questo. Solo te, non lo sai. Mariella è morta. Morta, capito?”
Per qualche secondo sono un blocco di granito. Poi gli occhi mi si offuscano e devo andare a nascondermi davanti al calendario di Frate Indovino, dietro una fila di vestiti stirati, incellofanati e pronti per il ritiro. C’è un completo blu da uomo, un impermeabile, una dozzina di vestiti leggeri, colorati, da donna, tre o quattro camicie bianche.
Riemergo, facciamo finta di niente e parliamo da uomini. Gli ultimi giorni, l’ospedale, i medici che non ci capiscono niente. La fine.
Un altro pezzo, immenso stavolta, di Roma se ne va. Il film è finito.
E pensare che stavolta, dopo sforzi titanici, la Scentarella me la ricordavo, Mariella. E mo’ chi se la scorda più?

La "scentarella" di via Maria Adelaide a Roma. In fondo Via della Penna
La “scentarella” di via Maria Adelaide a Roma. In fondo Via della Penna

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