Illustrazione di Stefano Navarrini per Società rumore Viganò

La società del rumore

Ore 8:00. Entro nel bar (uno qualsiasi) e mi siedo a bere un caffè. Il fischio della macchina, lo sbattere delle tazzine, qualche chiacchiera con un’amica, la lettura del giornale sono sovrastati dalla musica a tutto volume, video in televisione o radio fa lo stesso.

Ore 10:00. Spingo il carrello del supermercato (uno qualsiasi) tra gli scaffali per fare la spesa, e per mezz’ora sono stordita dalle canzonette e dagli annunci dei prodotti in offerta, la distrazione, si sa, aumenta il consumo personale e il fatturato altrui.

Ore 12:00. Vado a comprarmi dei calzettoni in uno store (uno qualsiasi), quelli che ho sono bucati. Il tempo di cercarli e trovarli della mia misura è martellato da una colonna sonora dance costante e a tutto volume.

Ore 13:00. I mezzi sono in sciopero e decido di prendere un taxi (uno qualsiasi). Quando finalmente lo trovo, il tragitto è costellato di radio commerciale con corredo di canzoni mischiate alle chiamate del centralino. Sprofondo nel sedile e guardo fuori dal finestrino, infilandomi due dita nelle orecchie.

Ore 15:00. Entro in libreria (una megalibreria), per acquistare un romanzo che però è fuori catalogo, per far spazio alle novità più novità, e un mellifluo sottofondo musicale mi entra nel cervello già oberato dalla vista di gadget sparsi dovunque.

Ore 16:00. Aspetto il treno pendolare che mi riporta a casa. Sui binari, il treno ha 25 minuti di ritardo, sono appesi schermi che trasmettono ininterrottamente video pubblicitari conditi di musichette di ogni tipo che coprono gli annunci ferroviari di pubblica utilità.

Ore 19:30. Vado in un locale (uno qualsiasi) a ordinare una birra e una pizza da mangiare a casa. Riesco a malapena a farmi sentire dal cameriere, dalle casse dell’impianto stereo megagalattico esce un martello di suoni che mi distrugge le orecchie nei cinque minuti di attesa. Con la pizza in mano attraverso la piazza dove l’amplificatore di una mangiatrice di fuoco e il complessino tzigano tormentano ogni giorno il dolce zampillio della fontana.

Ore 20:30. Ascolto le notizie del telegiornale (uno qualsiasi, o forse no), seguito dalla pubblicità di una compagnia telefonica (qualsiasi) che d’estate mostra feste in spiaggia dove tutti ballano felici a un ritmo infernale, e d’inverno mostra una ragazza che nel mezzo di un panorama innevato e celestiale, in perfetta solitudine, con il vento che sibila e spazza le nuvole, vuole a tutti i costi ascoltare, e noi purtroppo con lei, la sua hit preferita.

Ore 22:00. Siedo attonita sul divano, la testa mi gira, ho spento la tv, anche se stasera, sul canale di musica classica, mostrano uno degli ultimi concerti di Arthur Rubinstein, con i suoi vaporosi capelli bianchi, che suona Chopin. Tanto, anche se serro le finestre, il pub che chiude alle due di notte, in barba ai divieti, mi spara attraverso i muri una techno micidiale con corredo di schiamazzi, lasciando una scia di vomito notturno.

Ore 23:30. Zitta zitta, sdraiata nel letto, la testa ficcata sotto il cuscino, affondo in un sonno silenzioso. Finalmente.

 

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