La sposa bambina

 

Guardo Munir giocare a calcio nel cortile polveroso che divide le nostre case; gli occhi neri che brillano al sole, i riccioli sudati e incollati alla fronte, l’ombra leggera di baffi sottili. I muscoli guizzanti, sotto la maglietta troppo grande, sembrano rane che saltano verso il cielo.
Un tempo stavamo sempre insieme; fino al giorno in cui siamo diventati troppo grandi per la legge che decide che i maschi e le femmine non devono più frequentarsi. Allora si cominciano a condurre vite parallele, in mondi forzatamente separati. A noi ragazze è riservata la rinuncia, dentro esistenze fatte di obbedienza e devozione.
Munir e io ci piacevamo fin da piccoli. Dicevamo che ci saremmo sposati. Avremmo fatto tanti figli. Quando lo spio attraverso la finestra semichiusa, il mondo mi si rivolta nello stomaco.
A volte il mio sguardo è così forte che mi pare lo possa sentire, che mi cerchi anche lui, e i nostri desideri di ragazzi si incontrino nell’aria.
Lui non sa quanto il mio corpo sia cambiato, non conoscerà mai la donna che sto diventando. Per lui, un giorno sarò solo un’immagine sbiadita, fissata in un ricordo di bambino. Perché presto io me ne andrò via. Mi portano lontano, venduta al miglior offerente come una puledra sul mercato.
Mi chiamo Rachida, ho quattordici anni, tra dieci giorni sposerò un cugino di mio padre, un vecchio che di anni ne ha quarantatré.

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