La Tigre

La tigre era ferita a morte, e così il suo cacciatore. Quella ferita, quella tesa forza che sommuove i popoli alla lotta li univa ora per sempre nel vincolo più violento e indissolubile che esista. L’inconsapevole ricerca di questo vincolo, nell’acuminato protendere instancabile oltre ogni ragionevolezza era stata la vita del cacciatore. Traversato dal regale solco vertiginoso che scava la morte nei i corpi fino a svelarne l’essenza indistruttibile, scarna ed elettrica, gli occhi di fame eccitati, di sete bramanti nell’ebrietà della giungla e della febbre, il cacciatore approfittò di un momento favorevole per discendere dal veicolo diretto in ospedale, e gettarsi di nuovo con ogni energia rimasta nel mezzo esatto della giungla, nel mezzo esatto della terra, nel mezzo esatto della forza della terra.
Durante tutta la sua vita egli non aveva mai compreso il senso profondo e abissale, ne godè la gioia sconvolgente di questo significato come godettero i maestosi e antichi saggi nel conoscere le grandi saghe favoleggiate in India da secoli, né fu scosso mai dai i sussultanti tesori che sono le leggende dei mari e delle foreste in ogni angolo del mondo raccontate fin all’ora, fino ad ora. Fino ad allora furono un vuoto che risucchiava ogni sua forza, ogni sua brama.
Ma nell’esatto istante in cu il suo sguardo si inchiodò per l’ultima volta dentro quello della tigre tutte le leggende del mondo sorsero grandiose e colme di vita dinnanzi a lui, tuonanti d’abbagli fiammeggianti, lo sommersero e lo incoronarono, lo portarono via dentro al Mito.
Ed egli trovò ciò che ebbe cercato per la vita intera.

 

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