Credo che Pistoletto per il suo capolavoro, La Venere degli stracci, si sia ispirato alla massa di panni che mio figlio piccolo abbandona su una sedia, più spesso per terra, in camera sua, sapendo che la forza di gravità impedirà a mutande, maglie, pantaloni, magliette di volare e danzare per l’aere, magari al ritmo della Danza delle Ore di Ponchielli. Mio figlio si accorge di aver piantato indumenti sul terreno solo quando capta il richiamo della mutanda, si accorge cioè che nell’armadio le mutande non ci sono più. Allora solleva i panni rimasti nei cassetti, ne fa montagnole frugando in modo selvaggio negli strati sottostanti del settore biancheria intima, spinge qua e là i pigiami, rovina coppie collaudate di calzini, rendendoli tutti single, poi sconsolato, lasciando aperti tutti i cassetti, chiama me, soccorso rosso, e: «Non ce n’è più di mutandeeee?». Chi gli ha insegnato a vivere così caoticamente? Io no. Ho usato tutti i sistemi educativi e diseducativi conosciuti, dalla frase convincente all’idea che si tratta di una fase transitoria della vita, all’urlo, all’invettiva, alla valorizzazione dei suoi lati buoni, che esistono… ma niente, non cambia.
Che fare? Scrisse Lenin, non trovando le mutande. Non lo so. Quando era piccolo e testardo come ora, per portarlo a casa dall’asilo nido mi ci volevano tre ovini Kinder, altrimenti si fermava e si bloccava, decidendo di tornare indietro. Posso riprovare con quelli…
A volte mi auguro che si sposi presto, così capisce cosa vuol dire stare in riformatorio.