Tutta colpa del Canadian. È il mio sassolino nella scarpa ed è per togliermi quel sassolino che scrivo queste righe. Quand’ero piccolo, mia mamma comprava il dentifricio Canadian. Nella scatola, assieme al tubo del dentifricio, che era di zinco come si usava allora, c’era anche un soldatino. Non era un soldatino qualsiasi, era un fuciliere della Royal Canadian Mounted Police: una Giubba Rossa, per dirla volgarmente. Credo fu lì che cominciò il mio amore per il Canada e per i canadesi. Poi vennero i personaggi dei fumetti. Prima Dan Cooper, l’aviatore canadese disegnato da Albert Weinberg e poi Wolverine, l’uomo-ghiottone degli X-men, nato nella provincia canadese dell’Alberta. Era la metà degli anni Settanta. Sulle piste da discesa della Coppa del Mondo facevano la loro incredibile comparsa i Crazy Canucks, i canadesi pazzi: Ken Read, Dave Murray, Steve Podborski e Dave Irwin.
Ricordo come fosse oggi la prima vittoria di Ken Read in una libera. Era il dicembre del ’75, si correva in Val d’Isère. Una pista facile, con una sola vera difficoltà: la compressione, dove lo sciatore, che arriva lì a 130 all’ora, viene schiacciato verso terra prima di affrontare la curva che immette sulla pendenza finale. Fu proprio alla compressione che Read fece il suo capolavoro. Arrivò a una velocità impossibile, fu schiacciato verso terra dall’artiglio invisibile dell’aria e per cercare di mantenere l’equilibrio sollevò in aria lo sci destro. Un insieme di fenomeni fisici difficilmente riproducibili tenne in piedi il canadese, che superò la curva su uno sci solo e si affacciò come un missile sullo schuss d’arrivo, dove tagliò il traguardo per primo battendo il nostro Plank. Quel giorno cominciò la leggenda dei Crazy Canucks. Sciatori imprevedibili, campioni senza timori, capaci di strappare vittorie straordinarie e di subire sconfitte irrimediabili. Il migliore di loro fu Podborski, che vinse anche una Coppa del Mondo di specialità, ma tutti lasciarono il segno, anche Murray, il più vecchio, che fu l’unico a non vincere nemmeno una gara. .
Lo spirito dei Crazy Canucks era lo stesso di un altro pazzo canadese, Gilles Villeneuve. Di lui è perfino superfluo parlare, perché è superfluo parlare di un mito. Meno superfluo parlare di un altro canadese che fu portato in trionfo da tutta la stampa mondiale e tre giorni dopo, come in una parodia del vangelo, scaraventato nella Geenna del ludibrio. Parlo di Ben Johnson, primo nei 100 m alle Olimpiadi di Seul del 1988 col tempo record di 9’’79 e poi squalificato, a favore di Carl Lewis, per uso di steroidi. Quella di Johnson è una vicenda torbida, piena di risvolti poco chiari. Di sicuro, nei suoi occhi (chi li ha visti non può averli scordati) c’era la pazzia dei Crazy Canucks, una pazzia riscattata otto anni dopo dal suo connazionale Donovan Bailey, oro sui 100 alle Olimpiadi di Atlanta. .
E adesso ecco l’ultimo pazzo canadese. Non uno sciatore e nemmeno un giocatore di hockey, ma un corridore ciclista. Ryder Hesjedal, un gigante alto quasi uno e novanta, che, proprio come suggerisce il suo nome, cavalca la bicicletta come un purosangue e vince il Giro d’Italia battendo spagnoli, belgi, italiani, francesi… tutta l’aristocrazia del ciclismo mondiale. E la pazzia non sta solo in questo, ma anche nel modo in cui è arrivata questa incredibile vittoria: all’ultima tappa, contre-la-montre come direbbero i francesi, per soli 16 secondi di distacco dopo ventun giorni di gara e tremilacinquecento chilometri percorsi. Certo, quel pazzo di Hesjedal la maglia rosa l’aveva già provata a Rocca di Cambio e poi anche a Cervinia, ma Rodriguez era sempre riuscito a strappargliela di dosso e sembrava lui il predestinato di quest’anno. Invece Ryder non si è mai dato per vinto e come un vero pazzo canadese ha messo la sua mano sul Giro proprio nelle ultime tappe di montagna, dove tutti gli altri favoriti pensavano di vederlo andare in crisi da un momento all’altro. Ma sono pazzi questi canadesi ed è per questo che li amo da decenni. Per colpa di un dentifricio.