Ogni sera, prima che il buio svuoti le stanze, viene a farmi visita una tigre.
Ruota su se stessa, le zampe seguono il muso con le froge che si dilatano. Si acquatta davanti a me, sempre alla stessa distanza, calcolata perché i nostri occhi si incrocino senza che la belva debba sollevare il capo.
Non so per quanto tempo restiamo così, immobili, non rigidi. Una conversazione muta in cui il sangue fluisce e il cuore batte. In qualunque momento la tigre potrebbe aggredirmi, ne sono convinto, e prima o poi lo farà. Con sollievo mi lascio ricadere sulla sedia ogni volta che il balzo leggero con cui si rialza precede il suo allontanarsi e non l’assalto mortale.
Ogni sera, prima che il buio svuoti le stanze, spero che la tigre non venga a farmi visita. Eppure il pensiero che un giorno non dovesse venire mi inquieta fino allo stremo forse più della certezza di vederla comparire sull’uscio della porta.