Ho appena finito di leggere Atlante degli abiti smessi e devo ringraziare una mia cara amica di averne parlato e così mi è venuta la curiosità. L’ho preso in Biblioteca che è la mia madre libraria, mica ci ho tanti soldi per i libri quindi sia benedetta.
La storia è quella di una donna di mezz’età (?) che ha tanti di quei dispiaceri che scappa, emigra, va via. A Parigi. Per ritrovarsi, ricostruirsi. A Parigi anche la tristezza ha un suo fascino.
Scrive così a una figlia distante, che per motivi che scopriamo man mano si è allontanata da questa madre, che forse considera colpevole, di che? Così vanno le cose della vita. Così finiscono cose e/o persone. La mamma scrive a una figlia distante, che non risponde, che segue attraverso notizie di seconda mano.
Le ha lasciato tutte le sue cose, mentre si esiliava a Parigi. I suoi vestiti soprattutto e le fa un elenco dei vestiti che le lascia e attraverso l’elenco dei vestiti raccoglie e racconta la sua vita, le loro vite, la vita.
In queste storie di vestiti s’intrecciano anche le storie dei coinquilini parigini: del gatto Genet, del cane Chisei, della portinaia Thonet, della vicina (presunta suicida) Brigitte, del Prof che poi si scopre non-prof e della sua sorella gemella (anche lei fuggirà), dei vicini greci e dei vicini gay, della boulangerie e dei bistrot, del parco abitato da tutto quello che ci passa dentro, umani e non umani, cose, foglie, luce, nuvole, stagioni, pioggie, cellophane.
Ogni parola, ogni capoverso lo raccolgo e lo degusto con un piacere che cerco di trattenere a lungo. Tutto mi sembra rilevante e ogni cosa ve la vorrei raccontare qui ma forse l’unico è che ve ne facciate voi un’idea leggendolo a vostra volta. Vi lascio solo questo assaggino:
“Vestiti sopravvissuti. Li guardi e ti chiedi come hanno fatto. A restare intatti, tutti interi, dopo quello che hanno provato. Nessuno strappo, nessun cedimento, persino lo stesso colore. Come ha fatto la seta a resistere intorno al cuore che precipitava, ai brividi che ti squassavano. A non perdere il turgore del rosa. Ci sono vestiti che reggono i peggiori addii. Vestiti tenaci che ancora adesso guardo ammirata, forse perché è sparito l’odio – il mio – ma loro sono rimasti. E passo il dito sulla cucitura in vita, era così stretta la mia vita allora, bastavano due mani a contenerla“.
Elvira Seminara Madre e figlia Parigi