Dicono che nulla accade per caso. Dietro l’apparenza fortuita degli eventi, si cela un senso da svelare. Perciò tento di comprendere la ragione della mia sorte, mentre il tempo a mia disposizione sta per esaurirsi.
Mi resta la cassa, quasi una scatola cranica, con un minuscolo meccanismo ancora in funzione. Dovrei affrettarmi prima che inizino a smontare anche quello. Oppure lo sfracelleranno? Vorranno recuperare tutto l’oro possibile. A cosa serviranno i miei pochi grammi?
Tra poco sarò smembrato del tutto. Le vecchie maglie di metallo del mio cinturino sono già spezzate. Non avvolgeranno più quel polso di donna, dalle linee barocche, le macchie dell’età sulla pelle. Un polso energico, con un battito regolare, sincronizzato su ritmi binari.
Anche ieri mattina, con gesti abituali, quelle mani hanno girato la piccola corona di carica prima di allacciarmi. C’era aria di partenza. Tutto era pronto dalla sera prima.
Il treno era in orario.
Durante il tragitto, quasi fossi un cronometro, ho fermato un istante: la pianura verde scorreva veloce nella cornice del finestrino, una testa bianca appariva e spariva tra le pagine di un quotidiano tenuto da quella mano, quel polso, quell’orologio, io.
Nella casa estiva tutto era come sempre, ma lui, marito e padre, non c’era più. Quando si è fermata sulla soglia, ho sentito scorrere sulla sua pelle uno spasimo irrefrenabile: ingorgo nel cuore, pianto alla gola, lacrime agli occhi. Le ha trattenute in una specie di apnea che ha spezzato il mio ritmo. In quel momento, sono rimasto indietro; ho pensato che avrei recuperato alla prossima ricarica, l’indomani mattina, quando lei avrebbe controllato l’ora senza accorgersi del mio ritardo.
Ha sciolto il cinturino. Mi ha appoggiato sul piano di marmo del vecchio comò e un brivido gelido mi ha percorso, ma non gli ho dato troppa importanza perché mi è parso lo stesso di sempre, di quando mi posava lì sopra. Si è tolta la fede nuziale, anche l’altra, più larga, più lucida perché non era stata infilata a lungo, un vezzo maschile perdonato per la quantità di bene sempre profuso. Le ha appoggiate vicino a me. Il tintinnare sul marmo mi è vibrato nella cassa come un rintocco tetro
La casa aveva bisogno di aria. E di provviste, elencate su un foglietto messo in mano a sua figlia.
Quasi l’aveva mandata via, con le consuete incombenze. Voleva stare lì da sola. E piangere fino a scoppiare. La sentivo muoversi da una stanza all’altra, a vuoto, tra i singhiozzi.
Poi, il campanello, voci sconosciute dalla strada fino in casa, passi frettolosi, estranei.
Perché li ha fatti entrare? Due uomini, uno parlava con lei, l’altro girava per casa. Uno sguardo indagatore; un gesto furtivo, sprezzante. Ladri.
Siamo finiti. Ci hanno visto, ci hanno preso. Perché mi hanno rubato?
Dicono che nulla accade per caso. Dietro l’apparenza fortuita degli eventi si cela un senso da svelare. Perciò tento di comprendere la ragione della mia sorte, mentre rifletto sul tempo che mi è rimasto.
Mi sono fermato spesso e ho rischiato fosse per sempre. Anche ieri, ancora una volta. Ho segnato il tempo al polso di un uomo forte e leale; sempre con lui, da quando mi scelse. Era il 1940. Come un’onda sismica, passarono in me quel giorno l’eco dell’altoparlante e il tremito dell’acciottolato della piazza. Il suo silenzio sbigottito calò invece come un gelo sulle parole sbraitate che avevano annunciato la guerra: l’amara consapevolezza dell’irrevocabile si tramutò in un lungo brivido freddo, passato dalla sua pelle al mio ingranaggio. Rimasi indietro, attanagliato dall’impulso di fermarmi.
Poi, però, ad ogni accurato giro della corona di carica, mi adeguai di nuovo al ritmo del suo cuore, accompagnai i suoi respiri profondi, i suoi pensieri e gli ideali puri e gli sguardi limpidi. Era un polso fermo, dalle linee pulite di un tratto palladiano, con un battito regolare finché ho potuto seguirlo. Ci spostavano spesso, in viaggi interminabili, nel gelo, non so dove eravamo e non sentivo più il suo polso pulsare. E avevo perso anche la cognizione del tempo perché mi aveva nascosto nella polvere bianca del borotalco. Non poteva prendermi da lì per ricaricarmi.
Non guardarono mai in quel barattolo. Arrivavano attutite le voci straniere: urlavano ordini folli, imponevano umiliazioni infinite, affamavano, ricattavano, pretendevano acquiescenze impossibili. Non volle cedere, resistette, non si lasciò distruggere: il corpo superò, la mente tenace reagì.
Tornammo a casa insieme, bianchi entrambi, lui esangue.
Spolverò via da me la polvere bianca ancora profumata e mi mostrò come un documento. Lo ero davvero.
Mi volle sempre al polso, anche quando il battito del suo cuore pagò tutte le sofferenze subite.
Dal letto dell’ospedale ascoltavamo il suono dei monitor, osservavamo quel prete e quel medico con l’aria proterva dell’uomo famoso che può decidere e decide di non tentare nulla; a me ricordava uno dei suoi aguzzini e lo odiavo, ma lui era riuscito a scambiarci persino due chiacchiere; simpatico, l’ho sentito dire con sufficienza mentre si allontanava tra gli svolazzi del camice.
Accarezzava sua moglie, parlava con sua figlia, quante notti erano passate? Lui desiderava solo riposare, stendersi nel suo letto. Sua figlia mi ha riportato a casa. Da allora mi cura, quasi mi coccola, non si separa mai da me. Non so perché ieri mattina mi ha lasciato sul comodino ed è uscita.
Poi, il campanello, voci sconosciute dalla strada fino in casa, passi frettolosi, estranei. Perché li ha fatti entrare? Di chi è quell’ombra sulla soglia della stanza?
Ladri. Li ho sentiti girare per casa, spiare in ogni stanza, ingannare travestiti di menzogne improbabili, prendere, scappare, dileguarsi.
Ho sentito il grido di rabbia. Era smarrita, sola, raggirata.
Ho sentito sua figlia correre spaventata su per le scale fino al comodino. Le sue mani tremavano, mi hanno preso con un sospiro di sollievo, un brivido di sgomento, una carezza per calmare le altre. Perché non mi hanno rubato? Non mi hanno visto.
È stata solo fortuna? Il caso? Forse lo so: una nuvola di borotalco mi ha protetto ancora una volta.
Bello, bello, bello. Non dico altro. Amelia questa volta hai sbancato.
Detto da te, è grandissima soddisfazione. Grazie
Bellissimo!
Grazie!
racconto molto buono
Professore!! Spero non si tratti solo di una omonimia! Che gioia questo suo commento, che gioia! Grazie [sto leggendo Camilla Salvago Raggi, come lei mi aveva suggerito].
molto intelligente e suggestivo
Grazie, Giovanna.
Raccomto molto bello, particolare, letto tutto di un fiato!
Grazie!
Molto bello, complimenti.
Grazie, Giorgio!