L’abbandono

Si fermò sull’ingresso. Nello stanzino due metri per due i disegnini color pastello di Nicole tenevano le pareti rompendo il giallo dell’incuria. La pioggia scivolava sul vetro della piccola finestra nel vano tentativo di aggrapparvisi. Sentì il grido rigurgitarle dallo stomaco.
Le parole le graffiavano la gola mentre si scagliavano sul vuoto lasciato dall’ennesimo silenzio.
«Basta, non ti sopporto più!».

Si erano trovati lì, ogni giorno per otto anni. A parlare della famiglia, di politica, di economia, di come sarebbe cambiato il mondo, dei modi per risolvere le faccende delicate.
Sui muri umidi, pianti, litigi, risate e allegria seguivano parole sbiadite sul futuro. Sullo scaffale vicino alla porta, le bottiglie di vino, un tempo ambasciatrici di pace, aspettavano d’esser richiamate in servizio.
Le orecchie erano ormai indifferenti alle urla confuse. Le centrifughe emotive incantavano il suo sguardo come il mare in tempesta dall’oblò di una nave. Lo sentiva, tutto stava per finire. Era la grandine adesso a ritmare il declino della loro storia. I ricordi sembravano carrozze di un treno in corsa. Solo la certezza che i panni sporchi s’erano sempre lavati in famiglia la faceva sentire al sicuro.

D’improvviso, un lampo.
Squarciò l’ombra del ripostiglio, tra il baule di cianfrusaglie e la mensola che ospitava i barattoli di marmellata fatta in casa.
Si abbatté sui neuroni. Parevano gazzelle inseguite da un predatore rabbioso mentre saltavano da una parte all’altra della testa.
Un colpo sul cranio lo spaccò in due.
La consapevolezza di una nuova vita apparve come la quiete dopo la tempesta. Nessuna amarezza, né scuse o nostalgie, nessun rimpianto, nessuna paura. Nemmeno l’eco dell’affetto la teneva più legata. Si sentì sciolta da quell’amore inceppato da blocchi e carichi sfiancanti.
«È arrivato il momento» pensò, «devo sostituire la lavatrice».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto