L’acqua e la vita

La cerimonia del nuoto” di Valentina Fortichiari, appena uscito da Bompiani, sfuggirebbe a qualsiasi classificazione letteraria. Non è un romanzo, non è un saggio, non è un manuale. Invece è molto di più, un libro imperdibile.
Trascorriamo, leggendolo, molto tempo sott’acqua e sopra l’acqua, immersi in un elemento primordiale che ci priva del peso corporeo e ci pone in aspetto meditativo verso l’essenza. Che sia la piscina dell’introduzione, dove l’autrice racconta il nuoto come esperienza agonistica, o i capitoli che seguono e narrano avventure stupefacenti e anche drammatiche di animali che vivono nel mare (il cavalluccio marino, la foca, il capodoglio solitario, il dugongo e altri ancora) ogni cosa è narrata con una lingua squisita e di straordinaria sensibilità.
Degli esseri marini ascoltiamo il respiro, i sentimenti, li seguiamo nei loro caratteri e caratteristiche, nella lotta per la sopravvivenza dei tonni mediterranei ad esempio, e nella sterminata immensità degli oceani. I rumori sono il fruscio delle onde nell’immersione, il canto delle balene, lo sbattere della pinna, il silenzio apparente. La leggerezza è di animali minuscoli che danzano e altri enormi che viaggiano per miglia con la loro, passatemi il termine, umanità. La natura ha sempre il sopravvento perché natura selvaggia, con le sue leggi e il suo sospiro.
A Valentina Fortichiari piacciono i luoghi estremi, i fiordi islandesi, le baie della Groenlandia; le figure maschili e femminili di alcuni racconti vivono dentro elementi intensi e difficili, affrontano la neve e il ghiaccio, posti dove la mediazione non esiste, esiste la compenetrazione con l’aurora boreale, il buio e la luce, gli iceberg e l’acqua cristallina pullulante di vita.
Nell’acqua e nel nuoto di gesti puri – la prima nostra esperienza è a ben vedere nel liquido amniotico – i ricordi affiorano delicati come in quel nuotare di padre e figlia insieme alle isole Lofoten, con il padre che non può più sostenere il ritmo della bracciata perché vecchio e stanco, senza fiato. Ecco, qui, come in tutti gli altri racconti, Fortichiari ubbidisce consapevolmente alla vita concepita nel suo significato più profondo, e che comprende la morte.
Se noi lettori rimaniamo estasiati e ci immedesimiamo così tanto in queste pagine è perché stiamo veramente assistendo e vivendo una cerimonia del corpo e della mente, dei sensi e del pensiero di cui sono dotati anche gli animali. Perché questo accada in modo tanto mirabile, era necessaria una lingua che riuscisse a pervaderci, una scrittura altissima colma delle parole migliori per narrare. È successo: il ricongiungimento che avviene in chi legge non è soltanto con ciò che di naturale siamo nel mondo lontano dal tramestio sulla terra, ma anche con un linguaggio di una precisione e delicatezza eccezionali, pieno di sfumature e riflessioni che l’autrice usa per narrarci il senso della vita e il suo amore per il mare.

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