Ho letto sul diario di un amico che il piagnisteo spegne i neuroni. E che stare vicino a chi continua a lagnarsi non fa bene al cervello. Pare che trenta minuti di ascolto di lamentele spengano i neuroni dell’ippocampo, che è l’area cerebrale coinvolta nella soluzione dei problemi.
Strategia di sopravvivenza: allontanarsi in fretta da chi trova tutto negativo. E sia ben chiaro, si tratta quasi sempre di persone con falsi problemi. Non mi allontanerei mai da persone con veri problemi. Queste ultime solitamente non hanno la forza di lamentarsi a oltranza.
Il lamentoso – o la lamentosa – cronico ha invece un’energia invidiabile, quasi soprannaturale. Ti chiedesse una volta, che fosse una, «E tu, come stai?». Non c’è verso.
Anzi, sei sempre tu che hai zero capacità d’ascolto. Ti spiazza.
La convinzione radicatissima del personaggio è che siano tutti cattivi e alleati contro di lui in un orrendo complotto planetario. Ti porta in un vortice di notti insonni e giorni popolati di sensi di colpa. Non fai mai abbastanza o non fai quello che vorrebbe che tu facessi, per il suo tornaconto, ovviamente.
Però arriva un giorno in cui accade il miracolo. Il lagnante non trova più terreno fertile e parte alla ricerca di nuove vittime. Che puntualmente trova.
È una razza prosciugante; l’ultimo l’ho ascoltato per mesi (altroché trenta minuti!) e ci ho messo un bel po’ a recuperare le energie che mi aveva succhiato via, instancabile.
Dopo, ho perfino ricominciato a dormire, perché, si sappia, il lamentoso d.o.c. ama dolersi anche nelle ore notturne. E, brutto dirlo, credo che porti pure un po’ sfiga.
Che muoia Sansone con tutti i piagnistei.