L’alba dell’accoglienza

Il 27 agosto 2018 Ditmir Bushati, ministro per l’Europa e gli Affari esteri albanese, ha motivato così la decisione di accogliere venti migranti di Nave Diciotti: “Italia! Noi siamo qui, dall’altro lato di un mare, dove una volta eravamo noi gli eritrei. Ieri voi ci avete salvato e oggi noi siamo pronti a dare una mano”. Nota dell’autore: 350.000 albanesi arrivati da noi, venti eritrei accolti da loro.
Era il 7 marzo 1991, un giovedì, quando a Brindisi, 90mila abitanti, arrivarono venticinquemila albanesi in appena ventiquattr’ore. Donne, uomini e bambini cercavano un po’ di futuro, un pezzo di pane e anche, dicevano, libertà, stremati da decenni di regime comunista.
Mi ero affacciato come sempre, dopo cena, per fumare una sigaretta e guardare senza ostacoli le luci di quello splendido porto. Abitavo al quinto piano di Palazzo Crudomonte (ministero dell’educazione ai tempi del Re in quella città). Potevano essere le ventidue quando notai una scia lunghissima di piccole luci che avanzavano come un animale ferito e senza più forze dopo le sessanta miglia marine della traversata.
Erano barche di tutte le dimensioni con all’interno di ognuna, mille profili di teste. Attraccavano,scaricacavano e andavano a morire più in là (ci sono ancora molti scafi arrugginiti). Gli amici, che mi consideravano una vedetta, già telefonavano e io trasmettevo quello che avevo negli occhi, nessun commento, sgomento e basta.
Sembrava un film. Nessuno sapeva cosa stesse accadendo e cosa si potesse fare. A mano a mano che quella massa umana arrivava a terra, cercava di occupare un piccolo spazio sulla banchina, in attesa di qualunque cosa. Arrivava già un fetore insopportabile e il flusso non si fermava. Non c’era più posto, diecimila, quindicimila, venticinquemila corpi. Erano incontenibili e presto si dispersero per tutta la città. Ormai era l’alba, sembravano fantasmi che cercavano rifugio ovunque.
Frattanto i primi ignari che uscivano da casa si affrettavano a comprare mimose da portare all’amata e all’incontro incredulo con quei disperati si crearono scene felliniane: persone ben vestite e sbarbate andavano incontro con fiori a gente lacera e sporca e disperata che pensavano a un “benvenuto”.
Molti bambini soli si addormentarono dietro le porte di qualunque posto.
Ci vollero ore prima che le istituzioni preparassero qualcosa che sembrasse accoglienza. Solo i privati si mossero subito: io, tesoriere di un club, fui autorizzato a spendere tutti gli otto milioni della cassa per comprare assorbenti, bacinelle per lavare piccoli e grandi, asciugamani, salviette e sapone, tanto sapone.
Personalmente? Fece tutto mia moglie. Come altri aprì l’armadio (solo dalla mia parte) e quasi lo svuotò con lanci mirati dal balcone. Credo di aver visto in un filmato, che arrivava da un mercatino di Tirana, il mio cappotto di cachemir color “fumo di Londra” a doppio petto: lo avevo messo una volta sola, per un matrimonio. Non tutti furono così generosi e ritornarono di moda, per le strade di Brindisi, i pantaloni a “zampa di elefante”.
Ecco, ricordo ancora che comprai un paio di stecche di MS da dare ai questuanti invece degli spiccioli, però rimasi deluso quando alla prima distribuzione, un poveraccio mi disse:«No Marlboro?»

La prima pagina del Quotidiano di Brindisi
La prima pagina del Quotidiano di Brindisi

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