L’albero di mango

 

In sonnolente città di provincia ci sono strade ferme che sembrano anguste per un cuore di fumo. Un organo in grado di scrivere il mondo solo di là dal confine.
Accanto all’occhio dell’angelo in Piccadilly circus l’aria è più leggera. Il putto potrebbe colpirti da tutte le parti. Libero ma, ancora, nell’ansia dell’orientamento, sei tua madre, tua nonna, tua zia, tuo padre; la morte. Una fine dolce però, che ti coglie su un binario lanciato verso una diversa misura d’orizzonte. Più lontano delle ombre, vicino all’oceano e alle rotte del pueblo blanco; in sincronia con la risacca. La bassa marea che abbandona le barche in secca e le consegna alla deriva.  Sono io la causa e il fine. Ci vuole un poeta per fare un buon vino e uno psicanalista, forse, per togliere l’abbronzatura alla noia. Una patina spiacevole che coglie gli stanziali. Loro ti impediscono di muoverti, di prendere decisioni.
Gli haitiani affermano che i mango di uno stesso albero possiedono un sapore diverso asseconda che siano maturati nella direzione in cui sorge il sole o da quella in cui tramonta. Io sono del sole.

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