Tutti gli spettacoli dotati di spessore – tanto più se animati da una sana voglia di scuotere le coscienze spesso intorpidite di un pubblico ormai assai poco abituato a pensare con la propria testa – devono essere accolti con un sacrosanto rispetto e apprezzamento. E’ il caso di “ Con il vostro irridente silenzio”, monologo di Fabrizio Gifuni basato integralmente sulle lettere scritte da Aldo Moro ai colleghi di partito, alla famiglia, alle autorità ecclesiastiche, a noi tutti, dal Presidente della Democrazia Cristiana durante i 55 giorni di angosciosa prigionia, seguita al rapimento da parte delle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 e terminata con il suo orrendo assassinio il successivo 9 maggio. La pièce è in scena fino al 13 marzo a Roma, al Teatro Vascello, eterna icona di una vivacità culturale altrimenti piuttosto asfittica.
Ciò detto, l’operazione del valoroso Gifuni non è scevra di punti deboli, come è naturale che sia se si affronta con slancio veemente la tragedia cruciale del novecento italiano, l’evento che a 44 anni dal suo drammatico svolgimento rappresenta per tutti ancora un mistero, anzi “IL” mistero per eccellenza.
Gifuni rinuncia ad introdurre la sua fatica inquadrando l’avvenimento nella sua cornice dolente di carne e sangue. Sarebbero forse bastate poche parole in più per ricordare al pubblico agé, naturalmente portato all’oblio, e a quello più giovane, probabilmente ignaro, chi siano veramente stati per la Storia del nostro paese Aldo Moro – figura tra le più complesse della politica italiana – la banda dei suoi assassini – quelle Brigate Rosse su cui ancora aleggia un’aura di indefinitezza mai completamente dissipata – e i cinque uomini della scorta trucidati in via Fani, dei quali peraltro lo stesso Moro non fa mai cenno nelle sue sconvolgenti lettere.
Inoltre, come è inevitabile, l’autore-protagonista interpreta un personaggio, Moro, famoso proprio per l’estrema difficoltà di decifrare il suo lessico e l’incredibile vis innovativa del suo pensiero politico. La voglia di rendergli giustizia post mortem materializza così sul palcoscenico la disperazione del prigioniero, nella sua progressiva consapevolezza di non essere creduto dal mondo esterno e, di conseguenza, condannato a morte. Di qui la scelta di rappresentare un Moro misurato, sdegnato, ma a tratti anche iroso in modo iperbolico e quasi caricaturale, soprattutto nei riferimenti a Zaccagnini e Andreotti.
La presenza occulta delle accertate interferenze straniere nella vicenda, appena accennata da Moro stesso nelle sue missive, è doverosamente ricordata da Gifuni nella sua introduzione, ma poteva essere oggetto, nel monologo, di qualche utile, ulteriore riferimento, a distanza di più di quarant’anni, con cinque processi e una quantità incredibile di libri e articoli scritti sull’argomento, magari in conclusione della pièce. Bella ed affascinante infine l’evocazione dei due fantasmi per eccellenza della nostra Storia: Moro e Pier Paolo Pasolini, di cui ricorre in questi giorni il centenario della nascita. Due enormi, ingombranti corpi con cui l’Italia non riesce ancora proprio a fare i conti.
Un pubblico ancora una volta da grandi occasioni ha dimostrato con applausi scroscianti il suo pieno gradimento.
“Con il vostro irridente silenzio” – Fabrizio Gifuni al Teatro Vascello – Dall’8 al 13 marzo 2022