Si entra da un portone verde di fianco alla magnifica chiesa di Sant’Andrea al Quirinale. A sinistra il Bernini, a destra Seckou, Buba, Amadou, Niangue, Bamba, Jean Baptiste, Gora, Camara, Djiby, tutti giovani africani rifugiati. Estro, immaginazione e colori travasano dagli affreschi della sacrestia nelle borse, nelle collane, nei sottopiatti, realizzati riciclando la spazzatura. Vengono dal Mali, dal Senegal, dalla Guinea, dal Burkina Faso, cittadini del mondo come si definiscono tutti qui, bianchi e neri. Lavorano sodo in un ampio spazio con soffitti a volta prestato dalla parrocchia: raccolgono plastica e carta a Porta Portese o dai supermercati e la puliscono, la tagliano, la sminuzzano, la fanno rinascere ad una nuova vita. Una delle bellissime collane di Seckou (nella sua lingua “colui che conosce il Corano”) campeggia intorno al collo di Madonna che se n’è innamorata.
Io ho comprato dei sottopiatti azzurri bianchi e dorati, frutto di una collaborazione fra Buba e Amadou e il tavolo della mia cucina sembra più felice. Hanno cominciato a ferragosto e hanno già riciclato 600 chili di plastica. Quasi quasi non ce la fanno a stare dietro alle ordinazioni: 2000 segnalibri per le Nazioni Unite, 50 collane per una boutique a Piazza di Spagna. “Finora abbiamo guadagnato 1000 e 4 euro a testa”- mi dicono quasi increduli sottovoce- “E abbiamo un po’ contribuito a ripulire l’ambiente”. Hanno finalmente potuto telefonare alle famiglie per avvertirle che erano vivi, mandare soldi a casa e, grazie all’ordinazione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, riusciranno ad aiutare altri rifugiati ancora più bisognosi di loro, magari donando coperte per i nuovi arrivi a Lampedusa. Prima dell’inizio del progetto Spiral Refugee scART erano nove persone isolate, per nulla serene, non solo perché arrivate nel nostro paese con tutti i mezzi che non possiamo nemmeno immaginare, fuggendo da fame, guerre, dittatori, aguzzini, carcerieri, scafisti, ma perché nessuno ama sentirsi un peso in un paese che lo accoglie.
E’ questo che Marichia Arese Simcik “dal nobile cuore”, come la definiscono i suoi primi nove giovani africani del progetto, ha fatto di grande per loro: “Ci ha subito detto che non poteva prometterci nulla, nè soldi, nè sicurezza, ma che avremmo imparato qualcosa. E’ per la “connaissance” che ci ha convinti a metterci al lavoro con lei per costruire questi oggetti.” La conoscenza che può servire loro per insegnare questo mestiere ad altri rifugiati a Roma o nei cosiddetti ”centri di accoglienza” sparsi in tutta Italia. Questo è uno dei tanti significati del progetto inventato da Marichia, che da anni insegna a costruire oggetti riciclando plastica, carta, stoffa, lattine, persino i fili del telefono, nei villaggi del Vietnam e del Nepal e oggi anche Roma. Oggetti che vengono venduti in tutto il mondo e il cui ricavato va a chi ha lavorato per farli, per costruire ospedali e per operazioni al cuore di bambini, che ancora oggi nascono con delle malformazioni per le conseguenze dei bombardamenti al napalm.
Il primo oggetto che ha costruito Seckou riciclando la plastica è stata una scritta: PACE.
Spiral Foundation scART Refugee
www.spiralfoundation.org
ha ottenuto il patrocinio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati UNHCR Ufficio per il Sud Europa
E’ un progetto INTELLIGENTE!
VENDITA NATALIZIA DI SPIRAL FOUNDATION scART REFUGEE
3-4 DICEMBRE DALLE 10 ALLE 20
ROMA, VIA PAOLO MERCURI 8 (vicino a Piazza Cavour)
cell: 335 7067879 msimcik @ sprynet.com