Le frittelle

Scrivo queste righe senza occhiali per non poterle rileggere per non poter sentire odori sapori profumi aromi consistenze ricordi anche con la rilettura.
Perché ci sono cose ancestrali che non vanno riportate alla memoria spesso, vanno lasciate lì come quella cosa soffice e nascosta in un angolo di noi (nel cuore?) a cui si volge lo sguardo nei momenti estremi, nei momenti difficili, una di quelle immagini che fanno sì che si sciolga il cappio e si vada a mettere una zuppa sul fuoco. Ed è l’immagine di te nonna che seduta in cucina, tra le ginocchia una pentola alta e robusta, con fatica mescoli l’impasto delle frittelle, di te che poi ne arrotoli un poco di impasto sul mestolo e con l’unghia lo fai precipitare nell’olio bollente, te che cambi l’olio spesso perché nessun tovagliolo conserverà traccia di unto, di te che le guardi una a una per decidere quale sia l’istante giusto per tirarle fuori di lì e posarle sul vassoio, e i vassoi con le montagnole di frittelle veneziane una sull’altra e tu che passi col setaccino dello zucchero a velo, l’odore nella cucina il sorriso di chi ce l’ha fatta un’altra volta, e io lì sullo sgabello schiena al termosifone che mi mangio l’impasto crudo rimasto nel fondo della pentola e tu che mi dici dài lascia stare ti fa male è crudo, guarda quante ne ho fatte!
Allora guardando quell’immagine, quando ancora la tua cucina aveva una luce che la inondava e le piastrelle dicevano di noi, allora capisco il perché io sia così orribilmente selettiva, solo certe frittelle di certi laboratori, mai frittelle solo perché le chiamano così.
C’è qualcosa di ancestrale che di fronte a una frittella mi porta alla tua fatica e alla tua soddisfazione come a qualcosa di inevitabile, imprescindibile, nel fare e nello scegliere le frittelle.
Nel fare e nello scegliere le cose della vita.

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