Le mie donne

Oggi abbiamo ricevuto questa e-mail. “Buongiorno, mi chiamo Yuliia Iliukha, una scrittrice di Kharkiv, Ucraina. Vorrei inviarvi brani scelti dal mio manoscritto Le mie donne per la pubblicazione in una rivista. Si tratta di una raccolta di prose sulle donne durante la guerra.Di seguito troverete il racconto e una breve biografia mia e della traduttrice italiana Marina Sorina. Grazie mille! I miei migliori auguri, Yuliia.” Siamo grati a Yuliia per il dono che ha voluto farci e siamo orgogliosi di condividerlo con chi ci legge (La Redazione)

La donna che una uggiosa mattina di febbraio aveva lasciato casa sua con il figlio, la gatta e due cambi di biancheria nello zaino, ogni giorno, al posto di colazione, pranzo e cena consumava se stessa.
Tagliava un pezzettino di sé e lo spezzettava per aggiungere al borshch, insieme alle patate e al cavolo, presi al supermercato tedesco, insieme alla solitaria cipolla presa al negozio turco.
La donna compensava l’assenza dei Tetra pak piramidali della salsa “Chumak” aggiungeva invece una salsa italiana. Non ci metteva il sale, nel borshch: per salarlo, bastavano le sue lacrime.
Tagliava un pezzettino di sé, e preparava una minestra con le polpette fatte di carne biologica di tacchini europei, ma non era mai così buono come a casa. Perché lei una casa non ce l’aveva più.
Tagliava un pezzettino di sé, e ci insaporiva la carbonara, cercando tutto il tempo di ricordare il sapore della “pasta del giubileo” dalla bancarella economica vicino alla metro.
Di lei, dopo sei mesi, era rimasta solo una metà.
Intanto, un’altra donna, al di là della frontiera si stava consumando perché non se n’era andata.

***
La donna che l’allarme aereo aveva colta una volta nella vasca da bagno, aveva una gran paura di morire così: senza le mutande, nuda, con la testa bagnata e le gambe non depilate.
Temeva che i soccorritori la tireranno da sotto le macerie, guardando il suo corpo pallido (qualche anno senza vacanze al mare a causa del lavoro infernale), con la cellulite evidente sui fianchi e la morbida pancia floscia, che lei si ingegnava a nascondere con le panciere, e penseranno: “ma che modo è di prepararsi alla morte? Prima avrebbe potuto almeno dimagrire un po’ e fare qualche mese di palestra, dai!”.
Temeva che i vicini, che avranno la fortuna di sopravvivere, in piedi accanto alle rovine sparlerebbero delle sue unghie dallo smalto screpolato, della ricrescita dei capelli grigi. La vecchietta che di solito sputava veleno, borbottando rimproveri quando la vedeva scivolare, leggiadra, felice e un po’ brilla, dalla grossa macchina nera, e salutare l’uomo al volante con un cenno delle dita, avrebbe detto: “non era nemmeno in grado di pensare in anticipo, come si presenterà nell’al di la? La mia cara Iryna, buonanima, non si sarebbe mai permessa una indecenza del genere!”
La donna temeva la morte disperatamente, per questo per uscire si agghindava sempre a festa e indossava la biancheria più vezzosa. Ma fare il bagno vestita è davvero una idiozia. Per cui, niente vasca da bagno: è un lusso inarrivabile. Solo la doccia rapidissima e calda, e meno male che la caldaia funziona. Se hai solo due minuti, cosa riesci a fare? Nemmeno il corpo fa in tempo a scaldarsi e a sciogliersi.
Poi è arrivato il giorno quando lei si era finalmente arresa: era entrata nella vasca con la schiuma che profumava di oceano, di frutti tropicali e di tutte le vacanze mancate di una vita intera. Il suo odio si è rovesciato sul pavimento e ha cominciato a colare sui vicini di sotto, sciogliendo le piastrelle e il cemento.
Alla donna che da sempre temeva di morire così, senza le mutande, nuda, con i capelli bagnati e le gambe non depilate, non importava niente.
Perché non temeva più nulla.

***
La donna che cercava il marito nella fossa comune provava a rammentare la geografia del suo corpo, come se fosse una mappa di contorno dell’Ucraina tracciata di suo pugno.
L’uomo aveva una voglia sull’indice e sul medio della mano destra. Una volta sua madre gli disse che durante il parto il dottore l’aveva estratto tirando per queste due dita e così li aveva salvati entrambi. La madre stava solo scherzando, ma lui aveva preso questa storia sul serio e amava raccontarla per molti anni di seguito.
L’uomo aveva un dente rotto: il quarto a sinistra in alto. Se non sorrideva troppo, quasi non si notava. L’uomo giocava a calcio, e lo scorso autunno durante una partita si era scontrato con l’attaccante della squadra avversaria. Un colpo alle mascelle, il dente rotto. Continuava a scherzare che dovrà rifare quel dente prima della guerra.
L’uomo aveva un tatuaggio, una sorta di “manica” che raffigurava un lupo che digrigna i denti, con delle rune. Si era trastullato con l’idea di farne uno per diversi anni, alla fine ha disegnato lui stesso uno schizzo. Il disegno sul corpo si era rivelato sorprendente: visto da una certa angolazione il lupo sembrava sorridere.
L’uomo aveva una cicatrice, traccia di un vecchio intervento al ginocchio, eredità di un passato calcistico che avrebbe dovuto diventare una professione. Nascosti dai pantaloni, i punti storti della vecchia cicatrice non si vedevano, e gli shorts non li indossava quasi mai. Quando cambiava il tempo, il ginocchio si faceva sentire.
La donna era fortunata. Suo marito aveva i tratti particolari, grazie ai quali l’aveva potuto identificare.
Il lupo tatuato le sorrise per l’ultima volta.

Yuliia Iliukha è una poetessa, scrittrice di prosa e giornalista, nata nel 1982 a Kharkivska oblast, Ucraina. È autrice di diversi libri per adulti e bambini. Le sue poesie e i suoi racconti in prosa sono stati tradotti in inglese, tedesco, italiano, bulgaro, ungherese, catalano, polacco e svedese. Le sue opere sono apparse su riviste e giornali di Ucraina, Austria, Polonia, Bulgaria, Ungheria, Spagna, Regno Unito, Svezia e Stati Uniti. Iliukha ha ricevuto numerosi premi, tra cui il Premio letterario internazionale ucraino-tedesco Oles Honchar, il Premio del Concorso letterario internazionale “Word Coronation 2018” e il Premio Smoloskyp. Attualmente è scrittrice in residenza all’Internationales Haus der Autor:innen di Graz, in Austria.

Marina Sòrina, nata a Kharkiv, in Ucraina, in Italia dal 1995, laureata in Lingue straniere presso l’Università di Verona, addottorata in letterature comparate presso lo stesso Ateneo.
Dal 2012 lavora come guida turistica, traduttrice ed interprete, insegnando in parallelo ai corsi di lingua. Dal 2014 fa parte del direttivo di “Malve di Ucraina” APS, l’associazione che riunisce la comunità ucraina veronese c/o Centro per le donne migranti “Casa di Ramia”. Autrice di due libri di narrativa e di diversi racconti pubblicati in Italia a partire dal 2006.

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