Le volpi e io

L’anno prima, da bravi autostoppisti, avevamo scoperto il paradiso del lago di Ledro e ci eravamo veramente divertiti. Quell’estate invece cercavo solitudine e silenzi. Ero innamorato perso d’una supplente di filosofia del mio liceo. Che persona stupenda! Io avevo 17 anni, Marina 28. Non era questo il problema ma il fatto che per lei fossi solo una piacevole avventura, per me no. Marina era tutto. Femminista, aveva un rapporto con se stessa, l’amore e il sesso estremamente disinibito. Questo era quello che anch’io teorizzavo, rifuggendo qualsiasi rapporto di coppia, gelosie, esclusività. Cercavamo l’amore libero e il rispetto, non la proprietà o il possesso. Mi confidò di avere altre storie e questo mi abbatté più d’una fucilata in pieno petto. Ma pensavo, e penso tuttora, fosse giusto vivere l’amore così, senza ipocrisie, votati solo al socializzare con gli altri. E d’altronde cosa sono l’amore e il sesso se non la più alta forma di consonanza, talmente profonda da poter giungere a sfiorare la trascendenza e il settimo cielo? Però io ero in crisi nera per la contraddizione tra ciò che sentivo giusto e il mio star male. Passai una settimana a cercarla invano. Aveva capito quanto l’amassi ed era sparita. Partii. Arrivai in un paio di giorni. Montai la tenda che era quasi sera, mangiai e andai a dormire stanco morto. Poco dopo sentii dei rumori là attorno. Uscii con la torcia accesa e li vidi: la volpe, abbagliata e immobile, a scrutarmi, i cuccioli paralizzati dalla paura. Fu un istante. Fuggirono velocissimi. Versai della carne in scatola in un piatto, rientrai dentro e attesi. Stavo quasi per addormentarmi che risentii i rumori. Senza alcun movimento brusco mi sedetti fuori dalla tenda. Loro stavolta non fuggirono. Tutto successe in quel preciso istante. Percepii un piccolo brivido all’altezza dell’osso sacro che crebbe, crebbe e crebbe ancora fino a scuotermi come fosse una scossa elettrica. Salì per tutta la spina dorsale un’onda caldissima. Arrivò al cervello. Tremavo come una foglia. Persi conoscenza. Quando mi ripresi la famiglia di volpi era molto più vicina. E, cosa ancora più sconvolgente, li sentivo e capivo come loro sentivano e capivano me. Non era parlare ma una forma di comunicazione più elevata, assoluta. Lei proiettò nella mia mente le immagini della sua tana. L’odio e il terrore che l’aveva attanagliata quando due bracconieri le avevano ucciso uno dei piccoli. Non credeva però che gli uomini fossero tutti crudeli. Mi leggeva dentro e mi sentiva amico. Uno dei cuccioli cercò la mia mano, io lo accarezzai. Subito fu imitato dagli altri e da lei. Fintavamo attacchi, fughe e prese intervallate da tenere smusate. Divennero il mio mondo. Mi accompagnavano persino durante le escursioni. Passammo giorni sereni ma avevo quasi finito i soldi, settembre era arrivato e dovevo tornare a Roma. Mi spiaceva staccarmi da quella strana famiglia di cui ormai facevo parte. Lei mi ‘disse’: “Devi tornare al tuo mondo. È giusto così. Sappi però che un frammento della tua energia sarà sempre con noi, come tu porterai dentro di te una scheggia della nostra.” Pioveva l’ultima notte e la passammo insieme nella tenda. Al mattino ci salutammo da veri amici, con affetto e tenerezza. Delusione d’amore e crisi erano lontane anni luce perché avevo capito quel che la volpe mi aveva rivelato: una scintilla di Marina sarebbe rimasta dentro di me, come un atomo di me in lei. Questa era l’unica cosa che contasse.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto