Quando ho cominciato a leggere Anna Karenina, studiavo.
Aspettavo che il giorno finisse per poter mettermi a letto e aprire il libro. Ogni pagina era puro piacere: ho pianto come uno scemo quando Levin trova il coraggio di rifare la proposta a Kitty, e ho pensato che io quel coraggio non lo avrei avuto, così come ho provato pietà per Karenin, riconoscendomi nella sua intransigenza col terrore che fosse anche mia la sua meschinità.
Ho cominciato a leggere Anna Karenina perché Tereza non se ne separava mai. Andava in giro portando il libro con sé e, poiché L’insostenibile leggerezza dell’essere, di cui Tereza era una delle protagoniste, mi era piaciuto tantissimo, aprendomi spiragli che si trasformavano in abissi, avevo immaginato che nel romanzo di Tolstoj, che ancora non avevo letto, ci fosse una qualità riposta, una parte di quel segreto che mi aveva fatto tanto amare il romanzo di Kundera.
Così le storie ci portano ad altre storie, come gli amici che ci fanno conoscere altri amici. Il guaio è che leggere somiglia terribilmente a vivere, ma forse è solo un’illusione tra le più perfide.