Arriva, l’estate, irruenta ed eccessiva, d’un colpo, senza avvisare: un giorno tiri su il naso e senti l’odore, l’aria è cambiata, si è fatta più densa e dentro c’è una punta di sale, che ti fa deglutire e chiudere gli occhi, per un attimo. La luce si allarga, ogni cosa la riflette e interrompe il precipizio del raggio, la luce dell’estate si deposita su ogni foglia, sul terriccio appena bagnato nei vasi, sulle righe bianche di un campo da tennis, sul bordo sbeccato del marciapiede stanco, che resiste, sulla balaustra di ferro di un balcone, sbucciata dalla ruggine su un lato, la luce allaga tutto, ma è il calore che avvolge la stoffa con cui pensi di difenderti, ma sì, ti dici, mi copro per sbarrare la strada, una diga, un ponte levatoio alzato, un baluardo che mi salvi dalla tentazione di cedere.
Il caldo, il ramo allungato dall’estate, è lui che arriva sempre di colpo, da sotto, alle spalle, da intorno, come il seggiolino di una giostra, ti prende, saldo, ti spinge in alto, ma intanto ti avvolge, e ti giri di scatto da una parte e dall’altra senza capire come ci è riuscito, a prenderti, a scioglierti e poi a tenerti insieme, ti resuscita i ricordi, prima – infido! – di sbucciamenti di ginocchia giù da una bici, di labbra rosa dolce di fiodifragola, che colava sempre, di nonne che ci facevano dormire il pomeriggio, le persiane socchiuse, i materassi gonfi di un sud dimenticato, le lenzuola pesanti ma asciutte, bianche, tese, sulle quali la pelle stanca di sale e sabbia apriva i pori, si lasciava andare alla momentanea frescura. E dopo, che succede? Le rimembranze si oscurano un poco, di solitudine e di noia, per stare dentro a un’idea di felicità che nemmeno tu sapevi qual era, di certo, però, una volta sperimentata quella che non volevi, era tardi, l’abbraccio si era stretto, gli occhi si erano fatti liquidi, i capelli erano arrivati alle spalle, niente orecchini sui secondi e terzi buchi, le borse di stoffa dei festival accantonate in fondo, sotto ai marchi di cinque lettere, il caldo era tutto combattuto nei centri estetici e quindi nei vestiti corti e leggeri – ma non troppo corti, né troppo leggeri – il caldo che aveva fatto guardare la luna piena insieme, parlandosi al telefono, poi era diventato un mantra di rifiuto, per una stanchezza del cuore. E ora, che succede? I ricordi sbiadiscono sotto la luce che avvampa tutto, e quelle tue cellule, afferrate senza potersi opporre, si ridispongono come in una coppa larga, d’argento, languide e sensibili come le vibrisse di un gatto, lucide perle occhieggianti, potenti per un incanto. Nutrono il desiderio, aprono il corpo, lo riempiono della saggezza di sapere da dove ricominciare. Socchiudi gli occhi nella luce, l’estate, l’estate adesso sei tu!