L’età delle parole

Le parole hanno un’età. Ce ne sono di atemporali, quelle di fiori, di fiumi, di città, e pure già qui si potrebbe distinguere. Se dico Oriente, come ben sapeva Valéry nel suo Orientem versus, si apre molto più inaudito che con Occidente, se dico pervinca o primula, qualcosa mi suggerisce più futuro che crisantemo. Ma penso alle cose ordinarie. Quando mia madre, quasi novantenne, mi diceva di aver mangiato un buon panino, ecco che la parola neutra diventava toccante, apriva scenari inconsueti per il solo essere sfasata rispetto a chi la proponeva. Il panino, per me segnale di adolescenza rapida e vorace, quella delle mie ragazze, figlie, alunne, mi compariva tra le mani nodose e incerte, offerto allo sbocconcellare cauto e ancora grato di chi, un tempo denti di perla, non rinunciava a volere.

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