L’incontro

Non vado a messa da anni, e non è un modo di dire.
Ora è successo, per caso, mentre ero con un’amica a bere caffè e lei ha detto: «Dai resta con me, andiamo a messa e poi ceniamo insieme».
Ho riso, lei ha riso, conoscendo la mia refrattarietà rasente l’insofferenza.
Eppure ho detto sì, e dopo una manciata di minuti ero seduta tra gli scranni, proprio ai piedi della statua del Santo Patrono, neanche a dirlo. Una sorvegliata speciale, la disertora che torna con sfrontato ardire e senza pentimento.
Lei, però, la statua, mi piace. Sin da bambina la guardavo incantata avanzare in processione per le strade della città durante i festeggiamenti. Mio padre mi sollevava sempre per mettermi la testa sotto il mantello del santo, come usanza vuole. E quel San Giovanni Battista era una specie di papà, mi ispirava e ispira strani sentimenti d’amore.

 
I pensieri continuano a sfuggire, se ne vanno saltellando in tutt’altri luoghi. Mi concentro, ci provo. Inutile dire che l’usuale andate in pace equivale per me a un rompete le righe. Lancerei in aria il cappello, se lo avessi.
Ci alziamo, raccolgo la borsa dal sedile, sento una mano poggiarsi sulla mia spalla. Poi una voce, che pronuncia il mio nome come una domanda. Mi volto.
La mano appartiene a una donna. È la migliore amica di mia madre, la riconosco subito, nonostante il mare di tempo passato.
Ha i capelli tinti di biondo, adesso, qualche ruga in più e diversi chili in meno, sembra persino più bassa. Ma gli occhi e la voce sono identici, come perfette reliquie rubate al tempo.
È da poco dopo la morte di mamma che non ci incontriamo. Sono uscite dalla mia vita diverse persone negli anni seguenti quel dicembre del ‘90.
Ora lei è a pochi centimetri, mi parla e sorride. Dice che si è chiesta per tutta la durata della funzione se fossi proprio io, che doveva venire a parlarmi. Poi, rivolta alla persona che è con lei, dice: «Amiche come sua mamma non ne ho incontrate più».
L’onda di sensazioni che mi sommerge è splendida e insieme tremenda, un miscuglio di gioia e dolore che mi percuote la schiena come un deliquio di febbre.
È strano il modo in cui le cose che ti sei lasciato alle spalle possono di colpo raggiungerti e starti avanti, come fossero ancora là, ancora un tutt’uno col tuo presente. Forse lo sono.
Mi saluta, dice: «Mi ha fatto molto piacere vederti». Rispondo «anche a me» e le poggio una mano sul braccio, che è metà saluto e metà voglia di trattenerla.
Se ne va.
Sento uno strano rimescolio, dentro, ma sono contenta. Quest’incontro mi ha dato un’illusione di restituzione; mi ci rotolo per qualche minuto, come una ciambella passata nello zucchero.
Penso che avrei voluto abbracciarla, mi sembrava un pezzo di mia madre ritornato.
Ma non l’ho fatto. Come sempre.

 

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