Il formaggio è il dono di Dio che ti porta all’inferno.
Io già ci sto.
Il formaggio è giusto. Un prodotto dell’uomo perfetto a tal punto da rivelare la mano di una regia sovra naturale. È di natura divina, è emanazione del bene, perché un cibo così squisito non può che estrinsecare il senso della trascendenza.
Ha in sé tutte le qualità organolettiche e come tale è tentatore.
Induce alla smoderatezza, trascina nella perdita di controllo di sé, inebria e crea dipendenza. E qui, nel preciso istante in cui la perfezione viene intaccata dalla esagerazione e dal prevaricare della lascivia sulla moderazione, si precipita nel girone dei golosi. A questo punto si paga il fio con ondate di colesterolo ma soprattutto con la perdita desolante della propria estetica. Una Caporetto della forma, una Waterloo della silhouette.
Quale deterrente, ha suggerito qualcuno, si potrebbe con meno gusto e più precisione appiccicare fette di fontina direttamente sulla pancia, sul collo e sul culo. Subito si potrebbe vedere l’effetto che avrà un bel pezzo di Camembert sotto il braccio, una bella fetta di Auricchio sulle chiappe o una spalmata di burro intorno all’ombelico.
Dopo, e soltanto dopo, lo si potrà mangiare in pace.
Forse conoscere l’indirizzo preciso dei grassi aiuta a rimodellarci la vita.
Almeno il punto vita.