L’ omino delle rotaie era abituato a lavorare in silenzio. Su e giù per le rotaie, puliva con una ruvidezza che, a ben guardare, era affettuosa. Gli piacevano le rotaie, che erano state di suo padre e prima ancora del padre di suo padre. E ancora, ancora, ancora…Molti, da molti padri, pensavano che, in realtà, l’omino sporcasse: avevano infatti la bizzarra idea che le rotaie si pulissero da sole, col viaggiar dei treni. E che i treni stessi, con quei loro morsi per tenersi in equilibrio, bastassero a tenerle lucide.
L’omino, lustrando, sorrideva.
Lui sapeva che ci voleva invece del bello e del buono con le rotaie…Ogni tanto, dopo qualche curva, di solito in luoghi che somigliavano a segreti, le trovava impennate, annodate, annaspanti nell’aria. L’omino provava una grande pena, perché conosceva quei viaggi nel nulla, quelle smanie, e la paura dei nuovi morsi, la voglia dell’altrove, il bisogno di tendere su, su e su … Ma lui doveva portarle giù, che’ presto un treno sarebbe passato. I treni devono andare.
E allora bisognava passare e ripassare i panni di lana, centimetro a centimetro, istante a istante. Fino a potersi specchiare. L’omino delle rotaie si guardava nell’acciaio e le rotaie stesse, finalmente, potevano riconoscersi. Guardare il nulla su’ e l’ altro nulla giù, per convincersi a scendere…
– La strada siete voi – diceva allora l’omino delle rotaie alle rotaie. Mille e mille volte aveva detto la stessa frase, ma funzionava anche con le più riottose. L’aveva imparata da suo padre, ma ogni volta pensava di averla inventata lui, e in quell’istante. Chilometri e chilometri di rotaie, in ogni tempo e in ogni luogo aspettavano quelle parole per sentirsi parte della terra e del cielo.
Che responsabilità…Ogni tanto l’omino si sentiva stanco. Si sdraiava allora come dentro ad una culla ,tra i suoi panni di lana, e appoggiando l’orecchio sul ferro restava a sentire storie, pianti, sussurri, risa e morti e amori, e tragiche sciocchezze . Dalla loro lunga e lucida prigione, le rotaie gli mandavano messaggi e gli affidavano la loro memoria. Per la sua memoria e quella di suo figlio e del figlio di suo figlio. Perché non fossero inutili il dolore e l’impotenza, la rabbia e l’abbandono, la fiducia e l’innocenza, i cattivi pensieri che viaggiano col Treno della Solitudine quando fa coincidenza con il Treno della Paura.
Non si riposava per molto, l’omino. Si rimetteva presto in piedi e in cammino, che’ il tempo non era mai abbastanza ed il lavoro infinito.