Credevi fosse rimasta nel sogno, invece ti svegli ed è in fondo al letto. L’ospite. Non sai se l’hai invitata o se qualcuno lo ha fatto per te. Ti guarda, dimessa, con quella falsa umiltà dei giganti che si muovono in punta dei piedi. E’ vecchia, invecchiata con te, ma è anche agile e forte. Presto guizzerà nelle tue parole e nei tuoi pensieri, ti precederà nel cammino, ti aprirà le porte per poi richiuderle alle tue spalle con tonfi di forzieri, ti sorriderà per farti piangere . Mai farsi consolare dall’ospite, o non se ne andrà più. Perché prima o poi se ne deve andare, come altre volte è stato, ma non sai quando e questo ti dispera. Ti alzi, pesante di una vita. Lei ti sorregge, ma ancora non vuoi che ti tocchi:”Ce la faccio!”. Arrivi al bagno e allo specchio sei già estranea. E’ un attimo, e dai tuoi occhi svanisce il senso delle cose. L’ospite è dietro di te, raccoglie ciò che cade: la fame e la voglia, l’allegria e la seduzione, il fare e il disfare, il dire, il credere, l’amare. Raccoglie tutto nella sua larga gonna e corre (perché corre, lei) a nascondere ciò che sei stata.
Tu insisti: ”Ce la faccio!”, e ti lavi, ti trucchi, ti profumi, e canti forte, che senta! Sente (oh, se sente!), e sorride, mentre tu cominci a piangere. Piangi su assenze e presenze, sul registro dell’esistenza dove i tuoi voti sono bassi: “E’ impreparata, ha delle lacune…” Nessuno è mai preparato a niente, si sa, eppure adesso è una tua colpa. Te ne stai nel bagno tra i vivi e i morti, chiedendo scusa a tutti e mai a te. Scusa perché vivo, scusa perché non vivo, scusa per la noia, scusa perché non so, perchè so troppo e male.
Scusa per l’amore che non so prendere ne’ dare. Ma quanto manca a morire? Allora l’ospite arriva, ti riporta a letto, ti riaffida al sonno, accenna una carezza . Mai farsi accarezzare dall’ospite, mai farsi consolare dall’ospite o non se ne andrà più. Lo sai. Eppure è così dolce questo dormire.