Parodos
Molto tempo fa, sono stata ferita.
Imparai
a esistere, come reazione,
fuori dal contatto
con il mondo: vi dirò
cosa volevo essere–
un congegno fatto per ascoltare.
Non inerte: immobile.
Un pezzo di legno. Una pietra.
Perché dovrei stancarmi a discutere, replicare?
Quelli che respiravano negli altri letti
non erano certo in grado di seguirmi, essendo
incontrollabili
come lo sono i sogni–
Attraverso le veneziane, osservo
la luna nel cielo notturno restringersi e gonfiarsi –
Ero nata con una vocazione:
testimoniare
i grandi misteri.
Ora che ho visto
e nascita e morte, so
che per la buia natura esse
sono prove, non
misteri–
Parodos di Louise Elizabeth Glück letta da Anna Toscano
Louise Elizabeth Glück costruisce le sue poesie con frasi incisive, una scelta delle parole accurata, una costruzione strutturata e scarna, una essenzialità di verso, una punteggiatura varia e attenta. Ogni verso, per lo più libero, gode di una sua autosufficienza ma al contempo crea una aspettativa sul verso successivo e un legame col precedente, anche grazie a parole che provengono sia da un lessico alto sia da un lessico più colloquiale. Una poesia che, in questo modo, si fa comprensibile, accessibile, aperta alla condivisione dei significati. In questo testo, che apre la raccolta “Ararat”, ci sono i temi di tutte le poesie di Glück scritte verso la fine degli anni 80: esistere, il mondo, la ferita, i grandi misteri, la vita, la morte, le prove. Ogni poesia si apre con un quadro, dove la protagonista, la poetessa stessa, si deve relazionare con il lutto, la morte, la perdita, la separazione, la mancanza, in una dimensione familiare o solitaria. La raccolta, come questa poesia, ruota introno all’elaborazione del lutto e, più specificamente, attorno al luogo cimitero, qui il Mount Ararat; il libro, così come ogni testo, danno l’impressione di srotolarsi di verso in verso, di pagina in pagina, nel dispiegare un mistero, nel cercare di capirne l’essenza. La disperazione è piana, la tragedia è controllata dall’uso sapiente del linguaggio che talvolta lascia affiorare il respiro e, talvolta, un che il comico. Quello di Glück è uno scavare di parola in parola alla ricerca di una rivelazione, e man mano che la rivelazione procede viene meno l’autodeterminazione dell’autrice a essere “un pezzo di legno. Una pietra”. Il suo sguardo diventa da ascolto a parola scritta, uno sguardo sulle cose ironico e tagliente, affilato come la vita, che cerca un equilibrio tra il guardare indietro e il cercare un futuro <questo, questo, è il significato di /”una vita fortunata”: esistere / nel presente>.
Louise Elizabeth Glück, “Ararat”, In forma di parole”, numero primo, 2012