“I se ritira, i se ritira! Se qua i tedeschi! Serève dentro!”
Così, nelle prime ore di quel pomeriggio di primavera, improvvise, le grida delle donne.
Le porte chiuse in fretta, sbarrate. Nel silenzio, solo il rumore dei camion che arrivavano in colonna. Come quello del tuono da lontano, che fa ancora più paura.
“Virginia, corri dentro! Dov’è Alvise? Madonna mia, venite dentro, subito!”
“Signora, i xe qua, i xe qua… Mariavergine, che paura che gò!”
“Stiamo tutti dentro, chiudi tutto, dì a Sandro che chiuda anche le finestre di sopra, tutto, chiudi tutto…. Ma tuo fratello dov’è? Alviseee!”
Elena corre fuori nel giardino, che era grande ma adesso le pareva immenso, e lo vede là, in piedi sulla panchina vicino al cancello, in punta di piedi per vedere meglio i camion, i soldati, le mitragliatrici….. “Alviseee!” grida, ma lui non la sente, perché il rumore è diventato assordante, c’è anche un carro armato. “Madonna, un carro armato… Alviseee!”. Lui con i suoi sandali con i calzini, le braghe corte e le gambette che sembra un uccellino… a dieci anni lo chiamano “stechin”… “Madonna mia, non mi sente, Madonna…”.
Sui camion i tedeschi in ritirata, facce di pietra e due sassi come occhi.
Videro il bambino che li guardava da dietro il cancello e una donna che correva, lontana. Uno lo guardò, sollevò la pistola e gli sparò. Così.
Lui cadde colpito a morte. Venne giù come uno degli uccellini che aveva centrato con la sua fionda. Senza un verso, senza sembrare niente più di che quello che era, un bambino morto. Ucciso come gli uccellini, per divertimento.