Sarà stata la stanchezza della sera, il fatto che da solo a casa mangio male, il brutto tempo dell’autunno che anticipa l’inverno repentino, questo e quello, insomma tante cose così, stanotte, facevo un bilancio personale.
Una spesa alimentare alla settimana, come da studente universitario: adesso poi mangio ancora meno, e oltretutto la verdura non mi piace. La carne ho smesso di mangiarla per le arterie, il formaggio non l’ho mai gradito.
Delle sigarette, dolente nota invece, non riesco proprio a farne a meno. Pazienza dopo tutto, smetto di sicuro da domani.
I conti della serva li sbrigo insomma con disinvoltura, resto frugale per queste e ancora altre e molte cose.
Per un bilancio della vita, invece, ci vuole discrezione, conviene che cominci da lontano, in leggerezza o quasi.
Mi viene in mente il discorso che facevamo io e un amico, al liceo eravamo nello stesso banco ma da allora ci si vede più di rado. Scandalizzato mi raccontava di un parente, docente di greco e di latino. Filologia, lingue morte insomma, secondo l’implicita opinione di quello che parlava. Si stupiva che ormai verso l’età della pensione avesse speso alcuni anni a definire una questione relativa a una parola antica, alla sua radice originale. Un erudito dunque, e in più anche longevo.
Io non dissi niente, ma sorrisi, perché al mio amico oggi come allora mi ostino a volergli ancora bene. Lui adesso è un chirurgo quasi noto, qui nella vita di provincia che poco ci accomuna e molto ci separa. Sega ossa e ricompone le fratture, io, beh, lasciamo stare.
Però una cosa devo dirla: anche se il tempo scorre lento e passa troppo in fretta, la penso ancora come allora la pensavo. Non è da tutti farsi ricordare, fosse pure per un libro, per una nota misteriosa. Per qualcosa che si è lasciato scritto o che si è riusciti a dire, anche una poesia come oggi non costuma, oppure una carezza ad un’amica, un fiore tra i suoi capelli scuri e una parola sola stretta in una frase, detta sempre a bassa voce, troppo piano.