Ho un amico che va matto per il caffè. Ne prende ovunque ed è sempre pronto a scovare nuovi bar per la smania di provare.
Qualche tempo fa mi raccontava di bar inconsueti incrociati lungo il suo “aromatico” girovagare.
Non sto a dirvi quanto è lungo l’elenco dei bar, altro che la lista dei regali che arriva a casa di Babbo Natale in Lapponia.
A memoria ne ricordo qualcuno che più mi ha colpito.
Ci tenne subito a precisare che in uno dei primi giri alla scoperta dell’aroma era stato raggirato. Si era ritrovato dinanzi al “Bar Are” dove, a fronte di un caffè che valeva un euro, aveva dovuto sborsare due euro.
Niente a che vedere, però, con la prerogativa del “Bar Attolo”, dove, a fronte sempre di due euro, si era visto servire il caffè non in tazzina bensì, appunto, in un mini contenitore a forma di “buatta” … che non è un francesismo (cfr. “io tengo ‘na buatta! – da Uomo e Galantuono di E. De Filippo).
“Ah quali peggiori consigli” esclamò ad un tratto il mio amico e continuò: “ mi ci hanno indirizzato ed io subito ci sono andato”.
Si trattava del famoso “Bar Bino”. La sua recensione più o meno recitava così: “caffè accettabile, ma ti trattano proprio male”.
L’amico, poi, cercava un po’ di leggerezza e qual peggiore errore fu quello di entrare nel “Bar Occo”. Per avere un caffè dovette attraversare un paio di sale arredate con pesantezza e pieni di ghirigori ed ammennicoli. Infine, pesantezza per pesantezza, il caffè del “Bar Occo” si piazzò sullo stomaco.
Poi dicono che non è vero che il caffè rende nervoso.
Gli serviva, quindi, qualcosa per calmarsi e fu così che decise di entrare al “Bar Biturico”. Mai, come quella volta, dopo aver gustato il caffè prese sonno di colpo.
Ridestatosi dal sonno era pieno giorno e non potè recarsi al “Bar Lume”, aperto solo di sera, che lo avrebbe, gli avevano detto, risvegliato.
Evitò, quindi, il “Bar Uffa” poiché frequentato da persone facinorose e non si presentò al “Bar Zelletta” per fare uno scherzo ad un amico al quale proprio lì aveva dato appuntamento.
Ma un brutto scherzo il mio amico se lo tirò da solo. Finì al “Bar Atro” e lì non gli servirono caffè, ma solo superalcolici che lo fecero sprofondare. Non ebbe così il tempo neanche di passare al “Bar Collo”, ma, per fortuna, non finì neanche al “Bar Ella”.
Concluse il giro al “Bar Rito”. Ora tutti penseranno a qualcosa di elefantiaco. Niente di tutto ciò.
È solo che al “Bar Rito” il caffè è un culto, ma mai come quando, sul far della notte, il suo amico barista preferito, quello del “Bar” senza ulteriori aggiunte, lo vede arrivare, poco prima della chiusura, quando la macchina del caffè è già stata spenta. Allora lo fa accomodare in casa sua, attigua al bar, e accende la moka.
Storia di giornalismo pungente dal vostro inviato all’ingresso del Bar “che non c’è”
(Mic L’Ape )
Carino!
Mi è piaciuto per la leggera fantasia che si riscontra nel prefisso ” Bar” che rende tutto il racconto interessante. Certo è utile e piacevole per i piccoli e ad adulti rimasti un po’ bambini. Piacevole e interessante.
Daiii!!! molto bella veramente