Mai più senza Presepe

L’unico anno in cui nella mia famiglia non si è fatto il presepe è stato l’inverno, durissimo, del 1944.

Bologna e le sue chiese, i suoi palazzi, le sue piazze, le sue case erano macerie di bombardamenti.

Il pane era fatto con la segatura.

Quell’inverno mio padre perse sua madre, la mia vera nonna, per una polmonite.

Papà aveva 12 anni, e quando mio nonno gli annunciò che nonna Angiolina era morta, scappò per due giorni in una vigna.

Nella primavera successiva, pochi mesi dopo, sarebbero arrivati gli americani con la penicillina.

25 dicembre 1944, 25 aprile 1945.

Centoventi giorni di differenza tra la vita e la morte, tra un bambino felice e un orfano, come un cane senza collare in giro tra le macerie di Bologna.

Centoventi giorni di differenza tra un Natale senza presepe e uno di pace. Povero, ma di pace.

 

Da allora mio padre volle sempre il presepe in casa, senza sarebbe mancato il calore che scacciava il freddo umido della morte, diceva.

Così, anno dopo anno, questo mistero ha illuminato i miei Natali. Lo stesso sarà per mio figlio.
Non si tratta solo di mettere luci, laghetti, statuine, riprodurre un simbolo: si ricrea ogni volta un piccolo mondo vivo, con la sua dolcezza.

Che perdita sarebbe privare i nostri bambini di un calore, che va ben oltre la religione e le tradizioni e parla alla parte più profonda di noi, che appartiene a tutti.

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