Manchester by the sea

Neve, sempre neve da spalare, tubi e cessi da sgorgare. Un cuore in inverno quello di Lee, che si arrabatta facendo il custode in alcuni caseggiati di Boston. Uomo di poche parole e quelle poche che pronuncia, taglienti. Lee è scostante, rissoso, anaffettivo.
Dopo “You Can Count on me” (1990) e “Margaret” (2011), il regista newyorkese Kenneth Lonergan torna dietro la macchina da presa con un film che ha già incassato 6 candidature all’Oscar e 6 ai Golden Globes, oltre ad avere già vinto numerosi premi.
Manchester by the sea (Massachusetts) è una cittadina di poche migliaia di anime dedite per lo più alla pesca. Le casette a schiera ben curate, il mare increspato su cui cala il sole al tramonto, il piccolo porto assiepato di barche: un posto incantevole. Per tutti tranne che per Lee. Da quel luogo è scappato anni prima per sfuggire a ricordi dolorosi. Anche se ora è costretto a tornarci per la morte del fratello.
Tra atmosfere alla Carver e inquadrature alla Hopper, una sceneggiatura lenta e accurata, il film di Lonergan racconta un dramma famigliare che è impossibile non associare al famosissimo “Gente comune” di Robert Reford (1980). Stesso pathos, stesso travaglio, protagonista assoluto il passato che non si riesce a dimenticare e distorce il presente.
Lee, nell’intensa interpretazione di Casey Affleck – fratello minore di Ben – dovrà invece attrezzarsi per affrontare l’oggi e alcune urgenze non più rimandabili. Con un gioco di flash back, le tessere della sua vita passata pian piano si ricompongono e lo spettatore percepisce la pesantezza del dramma che lo ha colpito. Attraverso i suoi occhi chiari, eppure torbidi e grigi come le acque dell’oceano che batte le coste della cittadina, leggiamo la sua storia, i sensi di colpa mai sopiti, la cupezza che lo sovrasta. Ad aiutarlo il giovane nipote Patrick, interpretato dal bravissimo Lucas Hedges.

Contrappuntato da una colonna sonora di arrangiamenti al piano e al violino che sottolineano la gravità della trama, Manchester by the sea, è un film importante che alcuni critici già definiscono “capolavoro”. Certo è che si sta inchiodati alla poltrona per oltre due ore, rattrappiti per la tensione tutta psicologica del racconto. Niente effetti speciali, nessun colpo di scena, solo la vita che scorre, ineluttabile e dolorosa, come talora è la vita di chi la vive appieno.

Manchester by the sea” di Kenneth Lonergan (USA 2016)

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