Parigi, 2 agosto 1998, Marco Pantani vince il Tour de France. L’ultimo italiano a conquistarlo era stato Gimondi, nel ’65. Il pirata parte male, accumula minuti di ritardo. Ha vinto il Giro d’Italia, sembra appagato, al massimo farà qualche sparata sulle Alpi. Ma Pantani è l’ultimo esegeta di una razza estinta, di un’epoca in cui i distacchi si misuravano in minuti. Fugge sui Pirenei. Sotto il sole di Plateau de Beille recupera più di un minuto a Ullrich, il primo in classifica. È il 22 luglio. Cinque giorni dopo, quando il sole muore sotto la tempesta che allaga i 2645 m del Col du Galibier, Pantani crea il suo mito. Scappa in salita. Moltiplica il vantaggio su una discesa liquefatta dalla pioggia. Plana in mezzo alla nebbia. Sembra che le sue gomme non tocchino l’asfalto. Alla fine, sul traguardo di Les Deux Alpes, stacca Ullrich di nove minuti. Prende la maglia gialla. Mancano sei tappe. La penultima contro l’orologio, contro lancette che affettano i muscoli come lame di rasoio. Ullrich vince, Pantani si trasforma in Schopenhauer, pedala di volontà e immaginazione, strappa il velo di maya della propria inettitudine a cronometro e si libera dalla ruota del samsara. Il giorno successivo trionfa ai Campi Elisi. Essere Pantani è come essere Tolstoj, ha detto Tonino Guerra. Essere Pantani è come essere Pantani. Pantastique, l’ultima parola di una lingua ormai dispersa, quella di Coppi, Merckx, Anquetil. Pantastique. 2 agosto 1998. Quindici anni fa.
Nota. Anche sull’impresa di Pantani, purtroppo, grava l’ombra del doping. Era il ciclismo di quel periodo, e forse anche quello di oggi e di sempre, se è vero che il primo caso di doping accertato risale al 1886. Jacques Anquetil, fuoriclasse francese, vincitore di cinque Tour, disse che “Bisogna essere degli imbecilli o degli ipocriti per credere che un ciclista professionista che corre 235 giorni all’anno possa farcela senza stimolanti” (L’Equipe, 1967), e aggiunse “Mi dopo perché tutti si dopano” (France Dimanche, 1967). Ecco perché, nonostante tutto, Marco Pantani ho voluto ricordarlo così.