MARE FUORI

Inizio a guardare per caso “Mare fuori” e resto incollata alla tv per poche sere. Quelle che mi bastano per vedere i 24 episodi delle due stagioni, no stop.
Gli attori sono centrati, credibili e fortemente espressivi, dal primo all’ultimo.
Oltre al talento c’è molto che tiene alta la tensione: la suggestiva location sul mare, la musica che accompagna i personaggi oltre ad essere essa stessa parte della storia, il teatro nelle scene più forti e nell’uso indispensabile del dialetto, la violenza che fa da filo conduttore a tutto ciò che accade.
Un bravo ragazzo della Milano bene, a causa di un gioco estremo finito in tragedia, si ritroverà nel carcere minorile di Napoli insieme a giovani criminali, assassini, spacciatori in un intreccio di vicende di amicizia, amore e morte condite da vendette, codici di onore, necessità di appartenere al branco, desiderio di riscatto fino al pentimento o alla disperata speranza di una vita nuova, diversa, lecita.
Quello che colpisce è la presenza imponente e prepotente della famiglia, per alcuni una condanna da cui pare estremamente difficile affrancarsi, e per altri una salvezza, la ritrovata consapevolezza di sé e di quei valori positivi che radicati a fondo o anche solo percepiti, possono fare di un ragazzo, un uomo.
In ogni racconto tutto ha inizio in casa, in famiglia, quasi a ricordarci – ove ce ne fosse bisogno – il ruolo fondamentale di chi ha il compito di educare i ragazzi. I rapporti familiari sono causa ed effetto di ogni episodio e legano a stretto filo i personaggi… drammatiche ragnatele di coraggio e vigliaccheria. Aggrappati alla vita con le unghie e con i denti spesso dovranno fare i conti con la morte.
Si piange tantissimo e scorre tanto sangue, troppo. Aspetto la terza serie e spero ci sia anche un po’ di storia fuori, dopo la scarcerazione (almeno per chi ne beneficerà), o magari in tribunale, per restituire qualche verità alla già potente narrazione scenica.
Merita davvero.

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