Niente,
nessun luogo.
C’è ancora rumore
di sventura nella testa,
e sulla mappa del cielo
io non sono presente.
Mai è stata primavera,
sussurrano le voci di cenere,
sulla bilancia del linguaggio
sono una parola senza peso
e trafiggo il tempo
con occhi armati.
Futuro?
Non assolve
me, nata sghemba.
Vieni, dice,
la morte è un ciglio
sulla palpebra della luce.
Mariella Mehr letta da Anna Toscano
Quale è il luogo, quale è il tempo in questa poesia, nella poesia, nella scrittura di Mariella Mehr. Non vi è un luogo se non all’interno della testa, un luogo privato e intimo che tenta di preservarsi dopo le molte e brutali incursioni. Non vi è un tempo, non vi è mai stato un rinascere, una primavera, in quanto anche il nascere è stato arduo, così come il vivere, e l’essere ancora viva. Il futuro chiama, piccola cosa tra la luce, la morte chiama con voce che si fa sentire. Cosa è essere nati sghembi se non vivere con occhi armati che trafiggono presente, passato e futuro, occhi che difendono e proteggono da ciò che hanno visto, da ciò che non vogliono più vedere. Il dolore è la sorgente della scrittura di Mehr, quel dolore implacabile che si portano addosso i perseguitati, e si incrementa attraverso l’autrice sopravvissuta e attraverso la bambina ferita. Portata via alla madre, affidata a famiglie e istituzioni, sottrattole il figlio, ha conosciuto carcere e ospedali psichiatrici, il tutto in nome di un programma eugenetico del governo svizzero applicato alle famiglia nomadi. La letteratura come ancora di salvezza, seppur nella devastazione subita, l’unico modo per aggrapparsi a un mondo vivo e salvifico: parole che possono narrare usando il tempo che l’autrice vorrebbe annientare. Il tempo, come la speranza, è ciò contro cui combatte con le parole, per commutarne la parcellizzazione causata da angoscia e depressione in uno svolgimento, in una continuità, in un poter esser prima e dopo e durante in una totalità. La speranza stessa, come il tempo, ricorre nella sua poesia, per esser negata e per essere sperata. La luce spesso compare tra i versi, la luce che scandisce il tempo e al contempo lo cuce in giorni. Ma altrettanto spesso è luce che non cuce, che non rimargina il tempo, ma lascia “ognuno incatenato / alla sua ora”. A ogni suo testo Mehr si inventa, si crea e nasce da una tradizione e da radici che non ha, a ogni lirica si partorisce con il dolore e la speranza di vedere la luce. Mehr è la poesia del travaglio di una donna spezzata.
: