Marietta e il Professore

Il giorno prima di oggi – interno giorno. Faccio la correttrice di bozze. Scrivo, non solo per lavoro ma per distrarmi o per gioco. Mi ha preso una grafomania che non riesco a fermarmi. Come mai mi lego a uomini che non solo non scrivono ma neppure sanno leggere? In questo periodo “vedo” un tipo, mi piace, gli scrivo lettere e gli mando e-mail e sms per i quali non ricevo risposta alcuna.
Ero stamattina in uno dei miei momenti grafomani, alla scrivania vicino alla finestra del soggiorno, sotto un solicello invernale, quando dal camino sento provenire un rumore come uno svolazzare e frullare di ali. Qualcosa vola all’interno e sembra impazzito, io corro di qua e di là urlando. E più mi agito io più si agita l’uccello, accidenti a lui. Sinché non cade a terra, forse svenuto.
Mi avvicino cauta, il petto non si alza, pare morto. Poveretto, penso, poi noto un bussolotto legato a una zampa. To’ guarda, un piccione viaggiatore. In quest’epoca? Pensavo che i piccioni viaggiatori ormai fossero in disuso o estinti o, chissà, a spasso per piazzette con vecchietti annessi. Anche se mi fa un po’ schifo toccare un cadavere mi incuriosisce sapere se nel bussolotto c’è un bigliettino, magari una cosa in codice.
Eccolo! Con il bigliettino arrotolato in mano il cuore comincia a battermi forte. Posso essere così romantica da pensare che non ci sia scritto soltanto scemo chi legge? Svolgo il bigliettino e vedo delle coordinate. Ci rimugino un po’, poi vado su Internet. Su Google Earth vedo un palazzo. Alto. Antico. All’ultimo piano una torretta con le antenne, sembra una torre di controllo. Decido di andarci, mi stampo una mappa con le indicazioni per arrivarci, poi cerco una sepoltura per il defunto.
Nella terrazza, il vaso grande del rachitico limone sembra fare al caso. Io e il portinaio, accorso per le urla, pronunciamo parole di cordoglio. L’eterna dimora viene adornata con un fiorellino dalla vicina e dolenti – io, vicina e portinaio – ci salutiamo. Domani andrò a cercare il proprietario del volatile.

cau-chri

Domani – cioè oggi – esterno giorno. La giornata, gelida, non è l’ideale per andare in giro ma ieri ho deciso così e poi la curiosità m’ammazza, m’infilo nella metro e dopo un tot arrivo a destinazione. Consulto la mappa, salgo in superficie e, come volto l’angolo, mi ritrovo in una baraonda tale che sembra stiano girando un film. Ambulanza, Vigili del fuoco, Poliziotti della municipale e curiosi. Un numero imprecisato di telecamere mi fa pensare che ci sia uno importante.
Il palazzo che cercavo è proprio il luogo di tanto interesse. Una persona adagiata su una barella viene spinta fuori dal portone e una donna piccoletta coi capelli violetti, gli si fa d’appresso per rassicurare il malcapitato che consegnerà all’amata Marietta il plico che tiene in mano, e che si prenderà cura dei suoi piccioni, lui pensi a guarire che le fratture alla sua età possono degenerare, è troppo tardi per fare il ragazzino, scendere le scale a due a due e, soprattutto, saltare a piè pari gli ultimi quattro gradini.
Alla parola piccioni mi si allertano gli infreddoliti neuroni. Mi avvicino alla donnina, le metto un braccio sulle spalle e le dico con fare professionale: «Su su mia cara che l’accompagno in casa per riprendersi un po’». Scopro che “il Professore” è un insigne scrittore e docente universitario novantasettenne, con la fissa per i piccioni viaggiatori e per la “sua” Marietta di cui nessuno sa niente, forse la guerra, chissà.
Raggiungo la discretissima clinica dove è stato portato l’egregio e cerco di inventarmi qualcosa. Alla reception, un’impettita signora in tailleur rosa confetto mi chiede perché voglia vedere il Professore e chi sia io. Le faccio uno sguardo da “Signora, ma in che mondo vive?” e affermo come ovvietà: «La nipote». Lei mi guarda con palese disgusto e mi invia al reparto dove chiedo lumi a un dottorino troppo giovane e carino per essere un vero dottore.
«Per chi è venuta? Il Professore? E lei sarebbe?». Io balbetto:« Ma…». Lui mi spalanca addosso due begli occhioni blu e esclama: «Marietta! Finalmente! Venga, l’accompagno. Il Professore non ha fatto altro che pronunciare il suo nome». Mi introduce in una suite da albergo a cinquemila stelle e mi pianta lì. In un letto bianchissimo giace il venerando, abbastanza incartapecorito e sicuramente rincretinito dalle flebo. Mi avvicino e noto che ha gli occhi chiusi.
Faccio per andarmene ma vengo afferrata da una mano giovanilmente forte e il quasi centenario mormora: «Marietta, sapevo che saresti venuta. Quando il piccione non è tornato indietro ero certo che alla fine avessi ricevuto le mie indicazioni. Ti dissi, prima che tu partissi per la Svizzera, in quell’Aprile del ’38, che t’avrei ritrovata in tutti i modi possibili, con tutti i mezzi a mia disposizione. Sei tu, mia cara, il tuo profumo è sempre quello, e tu – mi accarezza la guancia- sei sempre la stessa fanciulla che ricordo, la sola donna che ho amato e che sempre amerò ».
Lo stupore mi fa accasciare sulla poltroncina accanto al letto e seppur stranita dall’equivoco, mi ritrovo a tenergli la mano fra le mie e quando lui, con voce flebile mi chiede: «Marietta, mi vuoi sposare? », io senza esitazione mi sento rispondere: «Sì».

Le immagini nel testo sono di Christian Shloe
Le immagini nel testo sono di Christian Shloe

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