La leggenda della Sugovica

Eva si affacciò alla finestra, ma non lo vide. Sentì un rumore tra le foglie, guardò verso la foresta di Gemenc. Per un attimo credette fosse un cervo, come ce n’erano tanti nell’Ungheria meridionale. Lui si mostrò. Si illuminò il volto con un fiammifero. Restarono a fissarsi senza dirsi una parola, sorridevano. Il fiammifero si spense e lui ne accese un altro. Eva pensò che l’amore che provava era più grande e profondo del fiume. Lei immaginava di essere la Sugovica, il piccolo corso d’acqua del suo paese, che lì confluiva nel mare Danubio. Era pronta a dare la vita per lui. L’uomo la stava abbracciando con gli occhi e il fiammifero consumato gli bruciò le dita. Non ne aveva altri. Tornò nel buio.
La sera successiva Eva lo attese invano. Le sere diventarono giorni e mesi, arrivò l’inverno. Eva, disperata, camminò a piedi nudi sulla neve fresca fino al punto in cui si univano i due fiumi. Si buttò nell’acqua gelata.
L’uomo del fiammifero uscì dal carcere anni dopo. Aspettò a una finestra che non si aprì.
Aveva derubato un mercante di tessuti per potersi presentare ricco alla famiglia di lei e chiederla in sposa. Ma si era fatto scoprire. Si uccise anche lui. A braccia aperte, per stringere il suo piccolo fiume.
Sugovica è una parola slava, significa acqua sporca, macchiata dal sangue degli amanti. Gli alberi della foresta di Gemenc si piegano sulla riva, sono salici e pioppi. Più indietro le querce. Il verso triste dell’aquila dalla coda bianca sospende il silenzio.
C’è un belvedere nel luogo in cui la Sugovica confluisce nel Danubio. È stato eretto dagli uomini per ricordare la leggenda dei due innamorati. Ma la memoria è breve. Oggi resta solo una lapide che commemora Stefano Turr, ufficiale garibaldino e politico ungherese.

 

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