Matilde tre notti e il servizio in camera

Matilde era padrona di mezza Italia e brigava con il Papa per difendere i suoi possedimenti. Dalla torre del castello spiava l’imperatore, vestito del solo saio e a piedi nudi, che faceva penitenza. Tre notti, tanta neve, e Sua Santità che gongolava, giocando con le scomuniche.
A quarant’anni Matilde decise di risposarsi. Guelfo V era poco più di un ragazzo, di sana e robusta costituzione teutonica. Era una pedina nello scacchiere di alleanze costruite ad arte per mettere nell’angolo l’imperatore, sempre lui, il pluriscomunicato.
Le cronache raccontano di una festa durata 120 giorni e tre notti. Ancora tre notti, come nelle favole. Un matrimonio d’interesse è pur sempre un matrimonio e Matilde pretendeva che si rispettassero i doveri coniugali.
Per ben due notti il giovinetto rifiutò le avances della Contessa. La terza notte, Matilde decise che forse era giunto il momento di lasciar perdere le maniere dolci, le allusioni cortesi con cui aveva trattato lo sposo, cose del tipo “Ma non ti ha detto niente la mamma?”, benché in uno stile che possiamo immaginare più aulico e di più complessa costruzione sintattica.
Si spogliò, si stese nuda su di un tavolo, e si fece portare nella stanza di Guelfo. Servizio in camera. L’inappetenza dello sposo la fece montare su tutte le furie. Mandò via il giovinetto in malo modo, gli sputò addosso per scacciare il malocchio e, con aristocratica coda di vituperi in entrambe le lingue, il latino e il tedesco, lo rispedì nelle lande gelide del Sacro Romano Impero Germanico. Fu la sua prima e ultima sconfitta.
Ah, Matilde di Canossa! E poi dicono che il Medioevo è un’epoca buia!

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