Nei giorni scorsi ci sono stati due eventi che mi hanno fatto riflettere, forse anche per la loro coincidenza. Alcuni intellettuali, scrittori, insegnanti hanno promosso un appello – primi firmatari Andrea Giardina, Liliana Segre, Andrea Camilleri – affinché non venga ridotto lo studio della storia negli istituti superiori e nelle Università. Contemporaneamente, nella mia città, Napoli, l’editore Laterza ha organizzato una edizione delle «Lezioni di Storia-Festival”. Per quattro giorni migliaia di persone hanno affollato più di 40 incontri con diverse dimensioni della storia del nostro paese, della nostra Europa: da Omero ad Annibale, dalla Resistenza ai Tirannicidi, da Guernica a Dioniso, a Vico è stata una full immersion, fatto unico a mia memoria qui a Napoli per l’entità, non sono numerica, di una partecipazione composta, attenta e appassionata. Titolo del festival: «il passato è presente». Titolo dell’appello: «la storia è un bene comune». Mi colpisce la necessità – evidente in questi due eventi – di un sapere che richiami un’idea di comunità, di un tessuto comune che appare sempre più lacerato. Un sapere, quello della storia, al quale fare ricorso come contravveleno al clima crescente di divisione, violenza, di vero e proprio odio, a volte in apparenza incomprensibile (l’ultimo caso a Manduria, dove il vuoto e il deserto culturale contribuiscono a scatenare l’aggressività). Per me che insegno all’Università l’assenza di una prospettiva storica nei giovani è esperienza quotidiana. Oggi l’unico e supremo valore sembra essere il presente in tutte le sue possibili declinazioni. Un presente che ognuno – soprattutto nelle generazioni più giovani – vive però individualmente, senza alcuna prospettiva. Il presente, unica dimensione del tempo: un nastro lucido e continuo senza colori, profondità o spessore… il presente come semplice accumulo insignificante di ‘fatti’, dove né passato né futuro trovano posto e Einstein, Tolomeo, Marx e Protagora potrebbero aver vissuto tranquillamente insieme. Senza memoria non può esistere un vero dialogo, dunque scambio, comunità. Anche perché la memoria non è mai semplicemente condivisa, tutt’altro, ma proprio per questo va tenuta desta in un dialogo e anche in un conflitto fra posizioni diverse, innanzitutto per le giovani generazioni.