MEMORIE DI UN ASSASSINO

Mentre si china a guardare nel buco della galleria che corre vicino ai binari, c’è un ragazzino dispettoso che gli fa il verso e ripete a pappagallo ogni sua frase. Lo sbirro vorrebbe prenderlo per la collottola ma ciò che ha visto all’interno del tunnel è molto più preoccupante. Una lunga serie di spietati omicidi – tutte donne, violentate e uccise – impegnano sino allo sfinimento il poliziotto Park Doo-man e i suoi colleghi. Impotenti a far fronte all’emergenza, pressati dal regime che vuole un responsabile a tutti i costi, sono costretti ad accettare la collaborazione di un investigatore arrivato da Seul.
Molto prima del successo mondiale arrivato con i 4 Oscar al suo “Parasite“, il regista coreano Bong Joon-ho aveva all’attivo ottime pellicole, premiate in patria e passate anche per il nostro paese (nel 2007 ebbe numerosi riconoscimenti al Festival di Napoli sul cinema dell’estremo Oriente), tra queste “Memorie di un assassino” presente da pochi giorni nelle nostre sale. Girato nel 2003 ma ambientato nella Corea del 1986, il film è un thriller dai ritmi classici: clima teso, ricerca spasmodica di tracce e indizi (all’epoca gli esami del DNA erano agli albori), scene cupe e spesso claustrofobiche, colpi di scena mozzafiato.
Il poliziotto di campagna Park Doo-man (interpretato da Song Kang-ho, attore preferito del regista coreano, che era anche il padre di famiglia povero in Parasite) è convinto di saper leggere sul volto di tutti i sospettati la minima traccia di colpevolezza mentre il suo compagno, assai più brutale negli interrogatori, pensa di estorcere la verità a suon di botte. Tratto da una storia vera, il cosiddetto “Zodiac sudcoreano” restò un mistero: oltre 3000 gli indagati, gli inquirenti si affidarono a tutto, anche ai chiromanti. Inserito da Quentin Tarantino tra i “gialli” preferiti, il film di Bong Joon-ho girato sui campi lunghi con una splendida fotografia in bianco e nero quando rievoca gli anni ’80 e colori pastello quando inquadra quelli odierni, ha la stessa implacabile logica di Parasite: nulla è quel che sembra e la prospettiva cambia in continuazione. E se allora protagoniste insieme agli attori furono le case – quella fatiscente dei poveri e quella sfarzosa dei ricchi – qui la cornice è il bosco, scuro e gravido di orrori. Specchio di un paese, la Corea del sud di allora, oppressa da un regime violento e autoritario.
Memorie di un assassino di Bong Joon-ho – Corea del Sud – 2003

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