Sono un pezzo di merda. Non il solo. Ce ne sono ottantanove come me. Sono il numero 80. Il 4 è a Londra, il 12 sta a Napoli. La bocca, il maiale, il soldato. Dove sia il morto non lo so da tempo. Il gobbo l’hanno battuto a centodiecimila euro, il sangue a più di centoventimila.
In me rivive il mito della sapienza alchemica. Delle viscere trasformate in un crogiolo da cui sgorga il metallo della divinazione, l’opera al rosso, l’elisir filosofale. Sono l’artista, sono parte dell’artista, sono la transustanziazione dell’artista, del somaro le cui feci son zecchini. Sono contemporaneamente alfa e omega. Inizio e fine. Teogonia ed apocalisse. Sono il riassunto del bambino eterno, di colui per cui qualunque cosa è oro. Sono un pezzo di merda. Non il solo. Non ce n’è nemmeno uno come me.
Piero Manzoni (Soncino, 13 luglio 1933 – Milano, 6 febbraio 1963), produsse nel 1961 novanta scatolette di Merda d’artista. Le scatolette (diametro 6 cm, altezza 4,6 cm) sono firmate e numerate e recano un’etichetta in quattro lingue. Pesano 30 gr e furono messe in vendita a un prezzo pari all’equivalente in oro del loro peso.